Il native advertising, format pubblicitario contestuale che ibrida contenuti e annunci pubblicitari all’interno del contesto editoriale dove essi vengono posizionati, complice la conclamata inefficacia dei banner, sta diventando una modalità di comunicazione d’impresa sempre più apprezzata dalle aziende, dagli investitori pubblicitari. Non a caso lo IAB ha costituito una task force, un nutrito gruppo di lavoro, sul tema.
Vista la tendenza gli editori, almeno negli USA, si adeguano. Secondo una ricerca effettuata dall’Online Publishers Association, associazione che riunisce tutti i principali editori statunitensi, dal NYTimes al Finanacial Times, passando per Hearst Corporation e AOL, per citarne alcuni, entro la fine del 2013 il 90% dei propri associati offrirà questo tipo di format ed il 73% già lo propone.
Le motivazioni dell’esplosione dell’offerta di questa tipologia, che in fondo è banalmente una rivisitazione dei vecchi publi-redazionali, è ben riassunta dal grafico sottostante che mostra come per i marketers, per chi si occupa professionalmente di marketing, questo format, in realtà i diversi format poichè diverse possono essere le tipologie, offre due vantaggi: maggior engagement, maggior coinvolgimento, ed utilizza la brand equity [il valore del marchio] degli editori per innalzare di riflesso il valore del marchio delle imprese inserzioniste.
Si tratta di un tipo di offerta che anche gli editori italiani non possono più trascurare pena, anche, la possibilità che le aziende decidano di fare da sole.
Sul tema è opportuna la lettura di: ”The Ethics of Using Paid Content in Journalism”