Il latte si munge dalla mucca che viene sfamata con l'erba fresca falciata d'estate, mentre quella in eccedenza viene fatta seccare al sole, poi fatta su a covoni perché un'eventuale pioggia non faccia marcire il fieno, quindi stipato nel fienile, per finire in pasto alle vacche nei mesi invernali. Eccetera, eccetera, eccetera. Alle viti si tagliano i pampini che tolgono nutrimento ai grappoli, si spruzza il verderame, si portano secchiate d'acqua, si vendemmia, si pigia, si mette il mosto a fermentare, e poi sotto le botti si getta l'acqua fredda sul pavimento nei mesi caldi perché il vino non soffra. Eccetera, eccetera, eccetera. Tutte queste cose e molte altre le ho viste fare dagli zii in campagna. Godevo letteralmente ogni volta che potevo aiutarli: a dissodare le patate, a raccogliere i fagioli, a girare l'erba per farla abbronzare, a fare i covoni, a rastrellare, a dar da mangiare alle galline e ai conigli, a tirare il carretto colmo di fieno, a bagnare l'orto, a spaccare la legna, a spingere la carriola, ad accendere il fuoco, a portare il latte al caseificio, a raccogliere fichi e ciliegie. Eppure tutte queste manualità, dopo tanto tempo, riesco a malapena a raccontarle. Perdiamo un patrimonio immenso con la tecnologia. Non faccio certo come quell'idiota di Cutugno che voleva andare a vivere in campagna, ma non so quanto sarebbe durato ad alzarsi alle cinque del mattino per mungere la mucca, e ammazzarsi di fatica per cavare dalla terra di che campare e poco più. Però siamo davvero orfani di tutto ciò. Almeno in città, intendo dire. Ormai nemmeno le mucche sanno più cosa sia una stalla con un vecchietto chino, alla luce della lanterna nel buio che precede l'aurora, che gli strizza amorevolmente le mammelle. La verdura cresce in serra e matura durante il viaggio verso i supermercati. Il fieno cede il posto a mangimi con farina di pesce. Forse il vino, nei vigneti, ancora un poco si salva (Col Longone, azienda sul colle di fronte alla nostra vecchia casa dei nonni). Però, qualche anno fa ho scoperto il piacere di fare il pane integrale in casa, delle belle pagnotte che ricevono meritati complimenti, estranee a qualsiasi macchina impastatrice che non sia il mio piacere di lavorar di palmo e di polso. E stasera, ho aggiunto un piccolo tassello, un piccolo sacco di sabbia della materialità delle cose, a rinforzare un fragile argine per contrastare l'aggressione di un mare minaccioso e spesso in burrasca, sempre più digitale e sempre meno manuale. Ho tirato fuori dall'armadio il vecchio macinino elettrico di mia nonna (la zia di mia mamma, per l'esattezza), ci ho versato i chicchi dentro dopo averne annusato l'aroma, l'ho macinato, e mi sono fatto il caffè. Dal chicco alla tazzina, senza intermediari. E me lo sono bevuto soddisfatto, sapeva più di caffè. Mentre lo raccoglievo a cucchiaini dal macinino, come un flash, la mente è andata a un ricordo che dormiva da decenni. Mi sono ricordato di quando lo macinavo col macinino a manovella, di legno, aprivo il cassettino e riempivo il filtro. Ce li ho ancora i due macinini, in bella vista sopra la tv. Mi sa che proverò anche quelli, per il piacere di un momento muscolare e meccanico, senza bisogno di elettricità. Di una cosa, ora che ci penso, mi rammarico molto. Non potrò mai avere nostalgia di come mungevo le mucche, perché, stupidamente, non ho mai preso in mano le mammelle di Colomba per giocare a fare gli schizzi nel bandon (secchio del latte). Stavo incantato a guardare mio zio che ci giocava come con una pistola ad acqua, mentre la bestiona ruminava placida e contenta di venire alleggerita. Sempre mancato il coraggio di chiedere di provare. Mi sono lasciato sfuggire l'occasione di un'esperienza più unica che rara. Poi chissà che figata un caffè appena macinato, macchiato caldo, nella stalla. Mai provato da bambino a mungere latte caldo. Mai toccata una mammella a Colomba io! E le ho avute lì a portata di mano per anni. Dannata pudicizia dei miei coglioni! Sempre stato timido con le femmine, vacche o mica vacche.
K.
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