Il problema non è tanto non essere in grado di descrivere le stagioni e tutto ciò che comportano. Questo genere di osservazione della natura e di ciò che ci circonda porta dei frutti solo se ciò che si cerca di raccontare è sufficientemente romanzabile. Ma alla lunga vedere sempre gli stessi posti nei quali scavando a fondo si trovano sempre gli stessi particolari rompe i maroni. Se vivete come me nei dintorni di Milano troverete ben pochi dettagli da cogliere e utilizzare come scenario per il vostro storytelling. Il cielo per esempio ha due modalità, acceso e spento, ovvero il sereno che si alterna al classico controsoffitto grigio hinterland, quel lastrone che copre le nostre vite indipendentemente dal mese in corso, senza variare nemmeno la tonalità. In questo contesto binario la gamma e le sfumature si riducono già di un buon ottanta per cento – sto sparando a caso – e nulla del contesto vi verrà incontro. Poi se siete come me e non notate se i fiori dell’aiuola nel mezzo della rotatoria o quella all’incrocio con il semaforo dove sosta il profugo senza una gamba che chiede l’elemosina sono fioriti, le foglie sono ancora appese ai rami o giù insieme alle cartacce che nemmeno gli operatori ecologici hanno il coraggio di districare, farete fatica a collocare anche solo un vostro pensiero in una cornice temporale. La differenza e l’alternanza la scandiscono solo l’abbigliamento, forse, perché senza nebbia e senza mare basta distrarsi un po’ e ci si dimentica persino del nome del centro commerciale in cui si sta facendo passare un sabato pomeriggio. Quando si posano le cavallette sul balcone e i gatti me ne fanno uno sgradito omaggio è il segnale che l’autunno ha preso ritmo, e il ciclo riprende mentre tutto intorno le persone starnutiscono fiaccate dall’allergia all’ambrosia. C’è poi il tempo dei furti in casa, arrivano le giostre in paese e si sa che gli appartamenti iniziano a stiparsi di regali di Natale sempre più costosi per figli sempre più tecno-dipendenti, tutto ciò fa gola agli acrobati come allo stesso modo spariscono borse e borselli dalle auto nei parcheggi dell’Esselunga mentre i clienti lasciano per qualche istante la spesa incustodita per riporre il carrello e negare l’euro al questuante nomade in servizio. A quel punto si entra davvero nel tunnel del grande freddo fino a quando la stagione delle pioggie porta sollievo a chi latita dagli autolavaggi per poi sublimare nell’esplosione delle infiorescenze con quell’odore che i più associano allo sperma umano che si diffonde ovunque. Nelle case e negli uffici che aprono le prime finestre mentre nel resto dello stabile i più anziani lottano per mantenere ancora un po’ il riscaldamento acceso. Nei pressi dei vivai dove si fa la coda per portarsi a casa un po’ di natura finta e artificiale dal ciclo di vita breve quanto la passione che i vegetali possono suscitare. Nelle esposizioni dei megastore di articoli sportivi in cui attrezzature e abbigliamento per il tempo libero vanno a ruba fino a quando ci si rende conto che acquistare e possedere un qualcosa di tecnico per una disciplina non è sufficiente a farci appartenere all’insieme di chi la pratica. La stagione più calda che oramai non ha più un vero e proprio nome, tanto dura poco e si palesa in modo disordinato, è quella delle donne seminude, dei maschi in ciabatte e dell’aria condizionata sparata ovunque, nelle auto come nei negozi, per una trasformazione climatica che non so a che punto porterà il genere umano e la sua capacità adattiva. Per il resto, nei contesti urbani e urbanizzati non c’è altro da dire. L’osservazione del comportamento della flora o della fauna ha lasciato il posto ai programmi delle tv a pagamento e alle lampade che si accendono e si spengono nelle abitazioni limitrofe alla propria che già stanno sparendo, coperte dalle luci condominiali accese ventiquattro per sette che prima o poi, oltre alle stagioni, uccideranno persino il giorno e la notte.
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