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Italia. Il relitto del Pozzino svela i segreti della medicina antica
di Martina Calogero
Al largo della costa toscana, nel 130 a.C., affondò un’elegante imbarcazione greca con un massiccio albero in legno di noce che trasportava cristalleria siriana, ma soprattutto medicinali. Il ritrovamento del suo carico avvenne venti anni fa ma solo oggi gli archeobotanici hanno svelato la composizione dei farmaci usati in Grecia nell’antichità: infatti, le analisi del Dna hanno rivelato che ogni compressa conteneva dieci estratti di piante diverse, dal sedano all’ibisco.
Nel corso del IV International Symposium on Biomolecular Archaeology di Copenaghen, tenutosi a fine 2010, Alain Touwaide, studioso dello Smithsonian Institution’s National Museum of Natural History di Washington, ha raccontato che nel 1989 è stata individuata nell’imbarcazione una scatola quasi intatta contenete farmaci. Così, è stato possibile studiare i frammenti di Dna contenuti nelle due compresse conservate meglio e mettere in confronto i risultati con le sequenze archiviate nel database GenBank dei National Institutes of Health statunitensi. Il sistema ha identificato nel farmaco tracce di ravanelli, cipolla selvatica, carota, sedano, quercia, achillea, erba medica e cavolo. L’analisi ha anche rilevato estratto di ibisco, forse importato dall’Oriente.
La maggior parte di queste piante sono conosciute per il largo utilizzo che ne facevano gli antichi nella cura di diverse malattie. Per esempio, il medico e farmacologo Pedanio Dioscoride, vissuto a Roma nel primo secolo dopo Cristo, descrive la carota come un toccasana per una serie di problemi di salute, quali il morso dei serpenti e l’infertilità. I dati forniti dallo studio hanno anche alimentato alcuni dubbi: infatti, l’analisi delle antiche compresse ha evidenziato la presenza di semi di girasole, una pianta che sinora si pensava non crescesse in Europa prima della scoperta dell’America. Se verrà confermata questa ipotesi, i botanici saranno costretti a rileggere la tradizionale storia del girasole e della sua diffusione, anche se per adesso è impossibile stabilire che non si tratti solamente di una contaminazione moderna.
Fonte: Archeorivista
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