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Nazario Pardini, "I canti dell'Assenza"

Creato il 16 marzo 2015 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr
Nazario Pardini,

Vedo l’angolo di una casa a sinistra, e davanti campagna libera che digrada a valle come la voglia di correre di un bambino. Va, quella voglia, nel sogno che incarna un tempo che fu e che continua ad essere. Non vedo una città con le sue borgate, con i suoi centri privilegiati. Lo spazio che mi accoglie è ben lungi dal proporsi chiuso e grigio. I colori che dominano sono il verde e il giallo della primavera, il bianco dei fiori. Questi canti non chiudono la percezione in un magazzino, semmai da lì escono per correre con il pensiero, quel pensiero libero, giovane, pensiero spensierato.

Così, leggendo questi canti vivo l’assenza, eppure le immagini sono presenti, le stesse immagini che ho visto in altre poesie dello stesso autore. Prati sconfinati che ospitano la giovane libertà, viva nel poeta e vivace nel lettore, libertà che mi prende per mano e che nei versi diventa musica. Ed io “attratto dai richiami del meriggio” volo quel volo che Icaro visse in parte. E anche se “è un naufragio per la nostra essenza” non naufrago, semmai mi ritrovo il giallo autunnale di un novembre che insiste, poi “ascolto i silenzi dell’anima” e vago alla ricerca di me stesso.

Queste poesie, molto intime, molto personali, mi chiedono di diventare Nazario bambino, e vedo che nel fondo dell’anima il poeta è rimasto quel Nazario bambino, non si è perso, e corre nei prati, vive in un ricordo di un tempo che in tutta la sua crudeltà scompare per lasciar spazio ad altro tempo.

È una poesia molto naturale ma non naturalistica. Gli odori della natura ci sono tutti, e sono forti, presenti. Torno ai miei otto, dieci anni, e quel regalo della vita è di nuovo in me, non è stato sommerso dagli anni, semmai è tornato in primo piano facendomi giocoliere incauto.

E infatti “Non sarà la sera che calante / annuncia solo un giorno che va via / coi suoi colori vecchi. Declinante / il segno non sarà della mia vita / volta a rammemorare. Alla natura / riaprire le finestre di un ostello / non varrà che annunciare alle mie mura / colori di serate ritrovate.” Mi dona questa ribellione.

Ma il seguito, questi canti vanno letti in ordine, è un “presto ritornerò”, perché si torna, sempre. Il tempo è un ciclo che consuma le forze, ma che torna sempre all’inizio, l’istante in cui non si è e non si sa. Prima e dopo. In mezzo c’è la vita, e tutta intera va vissuta.

E non basta, perché il poeta ci invita, ci sfida, ci rende partecipi quando ci dice “E tu che fai, non suoni? A cosa pensi, / perché resti da te?”. Allora percepisco il messaggio di questo canto come uno scuotimento dove il poeta mi prende per mano e mi sprona a cantare con lui, ma con il mio canto, con quello che posso fare, perché io sono come lui, insieme stiamo giocando nei campi, insieme “immaginiamo di essere un’orchestra / di veri musicanti che in concerto / suonano melodie per la platea”

Vado avanti, sono ancora con il poeta, vedo che “Poi giunto è ottobre a mietere le foglie / di una stagione che ha reciso il sole”, e pur sapendo che “Il frutto cade / del giorno ormai maturo ed è la notte”, non vado a dormire, perché lui con me rimane a contemplare il mondo, perché “se restava solo, nella sera, / si abbandonava un po’ alle sue memorie. / cespiti in boccio / voci di sorgente / occhi indomiti da equino all’età / che aveva gli anni della primavera.” Ecco la ribellione all’abbandono, gli occhi che indomiti guardano quel bambino e lo fanno vivere ancora.

Così “Giovinezza: / sortivi il tuo profumo / intento ad un sorriso dolce amaro.”, sei sempre lì, giovinezza, anche se ti abbandoni al flusso del tempo e “ti trattieni con aria indifferente / sulla panchina della piazza verde / a seminare amore.”

Insomma, non voglio parlare della tecnica poetica, della fluidità dei versi, della musicalità di questi canti. Posso solo dire quale effetto ha su di me la poesia, e in questo caso, i canti di Nazario Pardini. Mi sono quindi lasciato guidare, non ho pensato alla storia del poeta, non ho cercato il suo vissuto, perché le poesie, secondo me, non devono essere lette come un diario, ma vissute come uno sprone. Quindi ho rivissuto la mia storia, perché questi canti parlano al mio IO profondo, diventano quasi un alter ego, una guida che mi scuote, e che stimola la mia creatività, facendomi migliore.

Ringrazio Nazario Pardini per l’opportunità di leggere queste belle pagine


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