Il Decreto di confisca dei beni della famiglia Nirta.
Sotto l’aspetto penale, quando si è ormai oltrepassato il secondo grado di giudizio, la situazione dei Nirta è la seguente:
Giuseppe Nirta, residente a Quart, è in carcere a Bologna per traffico internazionale di stupefacenti (cocaina proveniente dalla Colombia e dal Venezuela). In prima istanza è stato condannato a 15 anni e 4 mesi, pena ridotta in Appello a 7 anni ed 8 mesi.
Nel procedimento erano coinvolti anche il fratello Domenico ed i nipoti Franco (allenatore delle giovanili di calcio del St. Christophe) e Roberto Di Donato. Per costoro, stessa pena: 15 anni e 4 mesi in prima istanza, 7 anni ed 8 mesi in Appello. Tutti gli imputati erano stati assolti dall’accusa di associazione per delinquere. Ma la sentenza penale non esaurisce l’attenzione della legge, che ora si è occupata della situazione patrimoniale della famiglia. I Nirta hanno sempre sostenuto che i loro beni sono frutto di una vita di lavoro e non di traffici illeciti, ma il Tribunale di Aosta, in un primo decreto di sequestro, parlò già di “ un’accertata sproporzione fra redditi dichiarati ed immobili posseduti”.
Ora si è giunti ad uno dei primi casi in Vda di confisca dei beni: il Tribunale di Aosta (pres. Massimo Scuffi, giudice a latere Paolo De Paola, giudice relatore Paolo Paladino), ha decretato la confisca di beni che riguarda 16 immobili e 933.000 euro, depositati in una banca di Martigny.
Sentenza importantissima, una pietra miliare nella storia valdostana della lotta alle mafie, insieme alla recente Tempus Venit, che si è occupata della famiglia Facchineri di Taurianova. In termini giuridici si tratta di una misura di prevenzione patrimoniale ma anche personale , in quanto il decreto riguarda anche gli obblighi che Giuseppe Nirta dovrà osservare una volta scontata la condanna penale. Non potrà risiedere in Vda, dovrà avere contatti solo con i suoi familiari, non potrà uscire di notte, tre volte alla settimana avrà l’obbligo di firma in una caserma dei carabinieri. La lettura del decreto è però illuminante. Mi permetto di proporne qualche stralcio con alcuni commenti. Partiamo da un interrogativo: la pericolosità sociale di un individuo è testimoniata solo dal suo curriculum penale? Solo una condanna penale certifica la pericolosità sociale di un individuo? Dunque è legittima la posizione di Ponzio Pilato, della società e della politica, che ha eliminato la disapprovazione sociale e sostiene di intervenire ( spesso mentendo…) solo in presenza di condanne penali?
Recita la sentenza:
…..” il giudice della prevenzione è chiamato a valutare in piena autonomia, rispetto alle valutazioni svolte in sede penale, tutti gli elementi di conoscenza a sua disposizione….
…alla stregua dell’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, il giudice della prevenzione può utilizzare circostanze di fatto emergenti da procedimenti penali, prescindendo dalle conclusioni alle quali il giudice penale è pervenuto, sempre che, a tali fini e in ordine a tali elementi, il giudice della prevenzione abbia effettuato un puntuale esame critico
La Cassazione ha inoltre precisato che ” la pronuncia assolutoria e irrevocabile, non comporta l‘automatica esclusione della pericolosità, quando la valutazione di tale requisito sia effettuata dal giudice della prevenzione in base ad elementi distinti, ancorché desumibili dai medesimi fatti storici tenuti in rilievo nella sentenza”.
Concetto più oltre ribadito:
“ Vi è piena autonomia per struttura e finalità dei due procedimenti, quello penale per l’accertamento della responsabilità in ordine ad una fattispecie di reato, e quello di prevenzione, ancorato ad una valutazione di pericolosità, espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato”.
Questo concetto di pericolosità espressa mediante condotta e non solo mediante un reato, ci dovrebbe fare molto riflettere sui nostri politici. Continua… (roberto mancini)