Ne parliamo a cena – Diverse cene delle beffe.
Creato il 15 novembre 2013 da Loredana Gasparri
Mentre mi accingevo a scrivere il post, mi è venuto in mente un altro hashtag: #svoltacena. E’ già il secondo libro che leggo, nel giro di pochissimi giorni, che ha come presenza fissa sullo sfondo una riunione di esseri umani intorno ad un tavolo per cenare e, soprattutto, parlare, parlare, parlare. Non è molto lontano il post che ho dedicato alle cene con risoluzione-misteri incorporata, dei Vedovi Neri, e subito mi capita tra le mani un libro in cui le commensali sono tutte donne. Parlavo di raggiungimento dell’equilibrio, se non ricordo male...Stefania Bertola ha molto in comune con Alessandra Montrucchio, l’autrice precedente. Anche lei di Torino, anche lei traduttrice, e anche lei impiegata nel mondo dei media; a differenza della seconda, Stefania Bertola si dedica ai testi per la televisione. Se volete conoscerla, suggerisco l’intervista fattale dalla Lettrice Rampante, nel suo blog, e di recarvi a Rivalta, Sabato 16 Novembre, presso la Libreria Casa dei Libri (via Umberto I, n°4) per la presentazione del suo ultimo libro, Ragazze mancine. Al centro di questo libro, ci sono le donne. E non solo perché si parla di cena, cucina, cibo. Non è la solita associazione di idee: alcune delle protagoniste non amano cucinare e se ne tengono anche abbastanza lontano. Si tratta di cinque cugine: Costanza, Sofia, Bibi, Irene, Veronica, le colonne portanti della storia, intorno alle quali gravitano una serie di personaggi, come mariti, figli, ex-mariti, amici, amanti, amiche, ciascuno dotato di una vita piuttosto problematica. Una volta al mese, le cinque donne sviscerano i propri problemi confidandosi, prendendosi in giro, litigando, riappacificandosi, riunendosi a cena a casa di una di loro, scelta ogni volta dopo lunghi conciliaboli frettolosi al telefono, in una pausa caffè, in piena notte, all’uscita dal supermercato. Ognuna di loro ha situazioni sentimentali disastrose, declinate in modi diversi: Costanza è l’amante di un uomo sposato da sedici anni, che le promette ogni sera,ogni giorno, dopo ogni incontro frettoloso, ad ogni telefonata del giorno e della notte, che lascerà la moglie e i figli per stare solo con lei, lei e nessun’altra. E sì, promette anche di non guardare più (e di non portarsi a letto, di conseguenza), ogni giovane donna che entra nel suo campo visivo di critico letterario bello e affascinante. Sofia si sta sbarazzando di un marito palesemente mal affiancato a lei, con lunghi tira e molla, altrettanto stancanti di quelli cui si sottopone Costanza. Bibi tratta la sua famiglia come uno yo-yo: il suo attuale marito, che ha tentato di tutto per non essere un ex-marito fino in fondo, è continuamente sballottato tra lei e la nuova donna con cui sta cercando di ricomporre i pezzi del proprio cuore e della propria famiglia infranta. Poco importa che viva a Vancouver, con i due bambini avuti da Bibi. Se la Cugina si fa cogliere dall’istinto del nido, parte all’arrembaggio per riconquistare la SUA famiglia, salvo poi ripensarci mentre è sul posto a fare fuoco e fiamme, nella parte della Madre Pasionaria. Irene vuole disfarsi da tempo di un marito avvocato ingombrante, piuttosto restio a lasciarla libera, ma resiste con coraggio, negandosi altre storie, con stoicismo, per avere una carta in più da giocare in tribunale per raggiungere il proprio obiettivo. Veronica è l’unica sposata ad essere rimasta tale: simbolo stesso di Moglie e Madre, attraversa intonsa il mare torrido di problemi che le Cugine affrontano (e fanno di tutto per creare) ogni giorno, pur non negando il proprio contributo alla vivisezione e alla sistemazione della vita delle altre. Una volta iniziato il libro, non sono riuscita a mollarlo. E quando l’ho finito, mi sono dovuta rassegnare a malincuore al fatto di non poter più entrare nella vita di queste donne. Essendo io un cuore di granito, non dovrei nemmeno avvicinarmi a libri come questo, che descrivono donne incasinatissime, alle prese soprattutto con problemi sentimentali che si confezionano tutte da sole, come Costanza, semi-strangolata dal rapporto con un insopportabile narciso arrogante e infantile, totalmente incapace di prendere una decisione, mascherato da uomo-brillante-affascinante-di-successo. Quando leggevo di come lui la trattava, relegandola ad amante di serie B-C-D, a seconda dell’avvenenza della ragazza di turno di cui sceglieva di incapricciarsi, in mezzo al suo harem personale, mentre lei accettava, un po’ a malincuore, un po’ distogliendo lo sguardo, un po’ facendoci sopra un’ironia corrosiva, mi spazientivo un po’: stampagli l’impronta del tuo piede destro sui glutei, ragazza, e cercatene un altro, se proprio devi! Facendo così, mi auto-eleggevo a sesta Cugina, sentendomi anche più vicina al personaggio. Non anticipo nulla dell’intreccio in continua evoluzione di questo libro: colpi di scena a non finire, litigate, ritorni, scenette da Candid Camera. Quello che mi ha incatenata, soprattutto, è il modo in cui Stefania Bertola scrive. Un italiano veloce, informale, ma ricco e duttile, strettamente intrecciato ad una vena ironica altamente esplosiva. Sul retro dell’edizione della TEA in cui l’ho letto, si legge questo giudizio: “Un romanzo tutto al femminile che, con una vena grottesca e ironia quasi yiddish, mette in moto una sarabanda di situazioni e di dialoghi scoppiettanti.” (CLASS) In questo caso, credo che queste parole lusinghiere siano andate molto vicine ad esprimere lo spirito che pervade il libro. L’ironia yiddish, in effetti, mi fa pensare per prima cosa a Woody Allen, che è un maestro nell’utilizzo della battuta irriverente camuffata da battuta dimessa.
“Ma entra una ex amante di Alex, e Carolina è salva. Nel senso che deve servirla lei per forza. Io non servo mai le ex amanti di Alex. Lo farei senza charme. Le taglierei con le forbici, le macchierei con gli inchiostri, le assorbirei con le carte assorbenti...Così evito.” (Stefania Bertola, Ne parliamo a cena, TEADUE, pag. 22)
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