Non più tardi dell'altro giorno vi stavo facendo l'apologia di un film ultra-violento e dall'estetismo estremo, e adesso sto per tessere le lodi di qualcosa che si colloca - letteralmente - a milioni di anni luce di distanza da quel tipo di cinema e di estetica.
Grazie alla rassegna "Cannes à Paris", che si è svolta al Gaumont Opéra Capucines il 23-24-25 Maggio, ho potuto vedere un po' di film della rassegna appena terminata, godendo della varietà di scelte e stili. Tra questi, non mi sono lasciata sfuggire l'ultima opera del regista Americano Alexander Payne, Nebraska.
E ho fatto davvero bene.
Sono anni che amo il cinema di Payne, e per la precisione dal 2002, quando mi sono imbattuta in quel piccolo capolavoro che era About Schmidt, con Jack Nicholson. Uno dei film più divertenti, malinconici e teneri degli ultimi anni.
E credo che questa sia proprio la cifra stilistica di Payne, confermata dalle sue opere successive: Sideways (2004) e The Descendants (2011). Spesso premiato, e non a caso, per le sue sceneggiature, nei film di Payne a farla da padrone sono proprio le storie, i personaggi, le loro parole, e i loro silenzi. Tutte cose che lui filma con grande maestria e con grande amore e compassione. L'America che ci racconta Payne è l'America dei losers totali, dei reietti della società moderna: persone che non hanno più un lavoro, o che l'hanno appena perso o che non l'hanno avuto mai. Con una vita sentimentale monotona (se stabile) e complicata (se in via di costruzione). Gente che ha sognato il successo ma che se lo è visto passare davanti senza riconoscerlo, o che l'ha agguantato un secondo e ci ha ricamato sopra una vita di menzogne, e gente che i sogni di gloria li ha seppelliti da fin troppo tempo e vive nella rassegnazione più cupa.
Nei suoi film si ride tanto, a volte tantissimo, ci si imbarazza un po', si viene colti da una terribile tristezza, e poi si fa pace con se stessi. Perché dopo qualche minuto che si guarda un suo film si capisce che, inevitabilmente, Payne sta parlando di noi stessi. Che quelli dei quali abbiamo appena riso a crepapelle, presentano i nostri stessi sintomi di inadeguatezza di vivere, di mancaza di glamour, di paura nei confronti delle aspettative degli altri su di noi, di noi su di loro, e di terrore per un futuro che ci immaginiamo non solo incerto ma anche pieno di solitudine o, nel migliore dei casi, stracolmo di incomprensioni reciproche.
In altre parole, Payne è un po' il Mike Leigh de-noantri-americani. Leggermente più sfumato e moderno, meno provocatorio, ma la stoffa è quella lì: l'umanità, la pietà con la quale osserva e ci racconta i suoi personaggi, è quella cosa bella per cui alla fine ci sentiamo tutti un po' meno soli perché parte del suo mondo.
Woody Grant (Bruce Dern) e sua moglie Kate (June Squibb)
Nebraska, in questo senso, è cinema di Payne allo stato puro, forse ancora più asciutto, ancora più essenziale. Incredibile che la sceneggiatura del film non sia stata scritta da lui (il regista ha trovato un grande fratello di scrittura in Bob Nelson).Girato in un meraviglioso bianco & nero (ma perché i film in bianco & nero sono sempre i più belli?), Nebraska (stato americano di cui Payne è originario, by the way), racconta la semplice storia di Woody Grant, un pensionato che vive in Montana ma che vuole andare in Nebraska a ritirare quella che, secondo lui, è una vincita milionaria. Sua moglie Kate e i suoi figli David e Ross sanno perfettamente che si tratta di una truffa bella e buona (uno di quegli annunci con scritto in grande Hai vinto un milione di Dollari!), ma Woody non si rassegna. Dopo essere "scappato" di casa tre volte, e di fronte alla sua ostinazione, il figlio minore David decide di accompagnarlo in questo assurdo viaggio per andare a ritirare la famosa somma di denaro. Lungo il tragitto, ne approfittano per passare a fare visita ai familiari di Woody, fratelli e sorelle ormai anziani, rimasti a vivere nel paese di origine. Ma il viaggio sarà soprattutto un modo, per i due uomini, di conoscersi meglio e riscoprire il loro legame.
Woody (Bruce Dern) e suo figlio David (Will Forte)
Bruce Dern, nella parte di Woody, ha appena vinto il premio a Cannes per la migliore interpretazione maschile, e devo dire che sono assolutamente d'accordo con la giuria del Festival. Silenzioso, scorbutico, testardo, mezzo alcolizzato, dall'ironia pungente, ma anche di gran cuore, come si capirà nel corso del film, il suo Woody è indimenticabile e davvero toccante. Mai sopra le righe, mai compiacente, e senza mai spingere sul tasto della facile commozione, la sua interpretazione giocata tutta sulla sottrazione e la ritenuta, è un piacere assoluto, una grandiosa prova d'attore.Il cast di Nebraska al completo al Festival di Cannes (Laura Dern non c'entra, ma è la figlia di Bruce)
Ma tutti i personaggi sono tratteggiati benissimo, come è tipico del cinema di Payne, con un occhio particolarmente acuto nel rappresentare i "giovani" americani: dei trentenni rincoglioniti sempre al traino di genitori ormai anziani, dei totali buoni a nulla che sanno solo stare davanti alla TV a guardare partite di baseball con una birra in mano e il vuoto cosmico fuori e dentro di loro (qui i due gemelli nipoti di Woody, ma in About Schmidt il mitico fratello dello sposo, irrecuperabile drop out). Tenerissime, vive, e irresistibili, invece, le due donne del film: la moglie Kate (ogni volta che apre bocca c'è da morire dal ridere), e la vecchia fiamma Peg.Insomma Nebraska è uno di quei film (sempre più rari??!), dai quali si esce convinti che alla domanda: "C'è ancora speranza per il genere umano?" si risponderebbe con un convintissimo "Sì!"
Vallo a capire, a volte, l'effetto che ci fa il cinema...
ps La data di uscita del film (almeno sugli schermi francesi) è prevista per l'autunno, motivo per cui non esistono ancora né un poster né un trailer ufficiale. Accontentatevi di quello che ho trovato!