Magazine Cinema
di Alexander Payne (Usa, 2012)
con Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Stacy Keach
durata: 110 min.
★★★★★
Ci sono film che scontano, purtroppo, il pregiudizio e lo snobismo di noi occidentali. Specialmente se sono americani e partecipano ai festival. Per questo ve lo diciamo a chiare lettere: non commettete questo errore e correte a vedere Nebraska perchè è uno dei film più belli di questa stagione. E' un film sulla vecchiaia e sulla dignità della terza età, sul delicato rapporto tra genitori e figli, nonchè uno sguardo efficace e disincantato su un'America che non conosciamo, quella rurale, conservatrice e retrograda degli stati desertici del Midwest, immensi e spopolati, che il regista Alexander Payne ci restituisce in uno splendido bianco e nero d'altri tempi, per niente 'fighetto' ma assolutamente necessario...
Lo spunto narrativo è quello classico (e consolidato) del road movie, clichè americano per eccellenza: a Billings (Montana) un anziano signore, burbero, malmesso e alcolizzato (interpretato da uno straordinario Bruce Dern) si auto-convince di aver vinto un milione di dollari alla lotteria. Ovviamente non è così, il cosiddetto 'biglietto' vincente non è altro che un truffaldino depliant pubblicitario che reclamizza enciclopedie. Ma il vecchio non sente ragioni: non fidandosi delle poste locali si mette in testa di andare a ritirare personalmente la vincita a Lincoln, nel Nebraska, vale a dire a milleduecento chilometri di distanza... c'è solo un problema: non ha la patente, è mezzo cieco e a stento si regge in piedi. Invano la famiglia (moglie e figli) cercano di dissuaderlo, ma il cocciuto vegliardo non molla. Alla fine il figlio minore decide di accompagnarlo, non tanto per la vincita quanto per ricostruire il difficile rapporto col padre: che in passato non è stato certo uno stinco di santo, ma nemmeno lui gli ha dato troppi motivi per farsi amare (è separato dalla compagna, lavora in un piccolo negozio di hi-fi, è frustrato dalla sua mediocrità).
E' evidente che il viaggio non è altro che una scusa per alimentare una riflessione sul passato (di una famiglia e di una nazione), sul ricordo di una storia gloriosa che mal si concilia con un presente fatto di ipocrisie, piccoli e grandi rancori, e soprattutto con il confronto-scontro tra la modernità di questi anni e l'ottusità di un pezzo di America (quella dei grandi stati del nord) clamorosamente scollegato dal resto del mondo. L'America di Nebraska è l'America dei grandi spazi, delle strade deserte e polverose, dei motel, dei drugstore, della gente che s'ingozza nei fast-food, della gioventù 'bruciata' del posto che non ha altri passatempi se non conversare di donne e motori davanti a una birra. In questo contesto è assolutamente giustificata la scelta del regista di girare il film in bianco e nero (seppur magnificamente 'sporcato' dalla fotografia di Phedon Papamichael): il colore dei paesaggi mozzafiato avrebbe affascinato e distolto lo spettatore dal grigiore della realtà descritta da Payne, allontanandolo dai veri temi del film, che poi non sono così dissimili da un altro grande capolavoro del genere: la mente corre subito a Una storia vera di David Lynch, altra commovente riflessione sulla senilità.
Ma Nebraska è anche un grande film d'attori: Bruce Dern, navigato caratterista di tante pellicole dei gloriosi anni '70 si è ritagliato il più bel ruolo della carriera. Ma anche i semisconosciuti Will Forte (il figlio) e June Squibb (la mamma cattolica che si cala le mutande al cimitero) sono meravigliosamente in parte. A Cannes il film era dato tra i favoriti per la palma d'oro, finendo poi per soccombere al ruffianissimo e opportunista La vita di Adéle e scontando l'assurda ritrosia tutta europea nel premiare pellicole provenienti da oltreoceano. Per noi Nebraska è il vincitore morale, una vera chicca per veri cinefili, da vedere e rivedere. E che consacra Alexander Payne come uno dei migliori registi americani contemporanei: la sua filmografia (da A proposito di Schmidt ai giorni nostri) è indicativa di un cineasta sempre attento al valore dei rapporti umani e ai mutamenti della società. Nell'America di oggi, quasi un eroe.
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