Magazine Cinema
di Alexander Payne
con Will Forte, Stacy Keach, June Squibb, Bruce Dern
Usa, 2013
genere, drammatico
durata, 110'
Non c'è alcun dubbio sul fatto che una delle caratteristiche principali del cinema di Alexander Payne sia quello di essere "defilato" e poco propenso a dare nell'occhio. Una constatazione che lungi dall'esaurire la complessità di una poetica ricca e stratificata contiene il pregio di modulare lo sguardo dello spettatore rispetto ad una materia sfuggente, quasi inerte nella sua implacabile evidenza, e affidata nel suo divenire a piccoli e quasi impercettibili scarti emotivi, simili a quelli che trapelano con fatica dallo sguardo sospeso e lontano di Woody Grant, l'anziano protagonista di "Nebraska", ultimo film di Alexander Payne, presentato in concorso nell'edizione appena conclusa del Festival di Cannes. Prima di quel volto, su cui il regista tornerà con insistenza nel corso della storia si impone la visione di un america a doppia velocità, che Payne ci presenta in campo lungo nella sequenza d'apertura, con la modernità in continuo divenire sintetizzata dalle macchine che si succedono indifferenti e sfreccianti lungo la statale percorsa a passo claudicante dall'anziano signore chiamato a rappresentare l'altra faccia del paese, quella destinata a rimanere indietro rispetto al nuovo che avanza.
Per rappresentarla Payne si affida al sogno di una vincita impossibile, e alla convinzione di Woody Grant di averla realizzata dopo aver letto il volantino di una lotteria del Nebraska. Deciso a riscuoterne il premio, Grant si mette in viaggio in compagnia del figlio David che vorrebbe approfittare dell'occasione per conoscere meglio l'attempato genitore.
Se la trama di "Nebraska" ricalca nella struttura on the road precedenti famosi del cinema americano come quelli di "Una storia vera" (1999) di David Lynch, e "A proposito di Schmidt" (2002) dello stesso Payne, in cui il motivo del viaggio si trasforma nel congedo esistenziale di personaggi avanti con gli anni, e allo stesso tempo diventa la ricognizione sullo stato di salute del paese, bisogna dire che il bollettino del "capitano" Payne non è dei più confortanti. Girato in un bianco e nero elegante e pulito, "Nebraska" si dipana attraverso una serie di quadretti esistenziali e di situazioni singolari (memorabile la scena in cui Grant insieme al fratello che li ha raggiunti decidono di saldare l'antico torto patito dal genitore facendolo però pagare alle persone sbagliate) ambientate ad Hawtorne, cittadina natale del protagonista, dove, in un'immersione agrodolce e vagamente maliconica, Woody si ritrova a tu per tu con parenti dimenticati e amici di gioventù. Una situazione apparentemente idilliaca che Payne si diverte a sabotare con intarsi invisibili ma efficaci nel denudare alcuni dei miti della cultura americana: dall'istituzione familiare, dipinta come un luogo anaffettivo e disturbante - basti pensare alla petulante consorte di Woody sempre pronta a lamentarsi e a parlare male degli altri- al sogno americano, depotenziato per il fatto di sapere che il biglietto vincente esiste solo nella testa del protagonista, e sbeffeggiato attraverso la fascinazione dei compaesani di Woody, ignari della verità e disposti a dimenticare le antiche ruggini pur di condividere le fortune del figliol prodigo, per non dire della virilità machile, annichilita da rapporti inesistenti (quello di David, lasciato dalla compagna ad inizio film) o totalmente disastrosi, come accade al protagonista, sposato ad una donna che forse non ha mai amato.
La bravura di Payne è quella di mantenersi in equilibrio tra il riso e il pianto, e di riuscire con tocco lieve e delicato a far emergere una poetica del quotidiano illuminata dal riscatto di un'umanità donchisciottesca, mortificata e poi risollevata, come capita a Woody in una delle ultime sequenze, quando, demoralizzato dalla consapevolezza della mancata vincita si ritrova poco dopo, rinfrancato e felice, alla guida della jeep che il figlio gli regala per compensare lo smacco. Con l'automezzo al posto del cavallo, e Woody nella parte John Wayne, "Nebraska" fa anche in tempo ad omaggiare il cinema e in particolare il western, con l'uomo che sfila lungo la via principale di Hawtorne, sotto lo sguardo ammirato e incredulo dei suoi cittadini. Interpretato da un Bruce Dern formato actor's studio, impegnato in un ruolo che sarebbe piaciuto ai registi della sua generazione, "Nebraska" è un meccanismo perfetto ma non per tutti. L'assenza di glamour degli attori ma anche dell'argomento, il ritmo pacato e quasi immobile, la comicità deadpan alla maniera di Jim Jarmusch, e infine un'ambientazione laterale e periferica sono una miscela poco adatta alla grande platea. Siamo certi però che imitando le vite dei suoi personaggi anche quella del film troverà il modo di emanciparsi da premesse così fosche. Magari durante la notte degli oscar, magari nella categoria del migliore attore protagonista.
(pubblicato su ondacinema.it)
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