L’opinione di oggi del giornalista della Stampa, Enrico Martinet, stimola una riflessione. Dice Martinet, riguardo alla partecipazione di alcune professioni nel dibattito sul referendum, che i medici hanno usato non la scienza, ma la coscienza politica e gli insegnanti hanno offerto soluzioni da ingollare come verità assolute. Prosegue con la sua personale ricetta per evitare derivazioni da ultrà di stadio: “C’è soltanto un antidoto al rischio del condizionamento, svolgere la propria professione distinguendola con forza dal proprio pensiero politico.”. Una ricetta che nel complesso è condivisibile, ma che nel contesto referendario risulta monca. E’ necessario, a mio avviso, fare dei distinguo su quanto è accaduto e che ha coinvolto due ordini professionali. Nel caso degli insegnanti il coinvolgimento è nato dalla provocazione partita dall’alto: “Non andare a votare è un diritto!” La reazione di difendere il voto come diritto storico e ingrediente sostanziale della democrazia rientra fra i compiti educativi di un insegnante. Diverso è entrare nello specifico della scelta, anche se personalmente non lo reputo così grave. A 18/19 anni si possiede già un’idea del mondo e il confronto con altre idee non può che essere di stimolo. (Ricordo interessanti e vivaci discussioni in classe con i miei insegnanti di Liceo, lezioni così appassionanti che mai mi fecero marinare un giorno. E non ho mai subito ritorsioni di alcun genere da parte loro.). Per i medici credo che la parola prevenzione rientri nella loro deontologia professionale. Pertanto se un gruppo di loro mi presenta spontaneamente dei dati scientifici che testimoniano i danni alla salute di una tale pratica, svolge con responsabilità il suo mestiere. Diverso è se i medici rispondono a un invito-obbligo che proviene da un assessore. Partecipare alla vita con senso di responsabilità e adeguatezza, che non esclude una coscienza politica, è, secondo me, il vero antidoto per evitare il condizionamento di un falso politically correct che finisce per silenziare tutto.