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Necessità, desideri e bisogni – Parte II

Creato il 08 marzo 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

425px-Alfred_Marshalldi Pietro Bondanini (continua dalla prima parte). La famiglia arcaica era un’azienda di produzione perché raccoglieva i prodotti della terra e se li divideva nel proprio interno ricorrendo al baratto per ottenere gli strumenti per lavorarla.
Poi, sino ieri, la famiglia tradizionale si costituì come azienda di consumo, retta da coniugi, uno dei quali guadagna e l’altro  accudisce alle faccende di casa entrambi per condividere quanto serve per il sostentamento dei figli, per crescerli ed educarli risparmiando quanto basta per giungere ad una serena vecchiaia.

Oggi il risparmio confluisce nei mutui per la casa e nel credito al consumo tanto che, anche un viaggio in crociera ai Caraibi, sia pagata con la carta revolving. Così, a parte l’instabilità che si è venuta a creare all’interno delle famiglie, si sono modificate anche profondamente le caratteristiche dei mercati che, dall’essere osservati per i loro aspetti commerciali, oggi lo sono per i loro effetti finanziari, perché anche l’acquisto delle materie prime è condizionato dal credito commerciale, fondiario e finanziario, un tempo gestito da soggetti distinti, oggi lo sono da soggetti indistinti.

I mercati finanziari reggono sulla base di indici mossi dalla circostanza che i debiti siano assolti, causando, in modo artificioso, un travaso da investimenti sicuri di basso rendimento verso quelli più rischiosi. In caso d’insolvenza  di una banca, la Banca centrale stampa moneta per farla sopravvivere, rendendo rara l’insolvenza e per effetto di un circuito di rapporti viziosi, il mantenimento in vita di imprese inefficienti. Ciò significa che poco va nella ricerca di base e negli investimenti produttivi di utilità sociale, e molto va ad alimentare il mercato finanziario della carta straccia.

Nonostante le coperture e le previsioni formulate con i più sofisticati strumenti informatici e della comunicazione, le crisi sono ancora certe ma si manifestano ancora in modo non prevedibile e in momenti utili perché i risparmiatori possano opporre proprie azioni di difesa. Succede dal 2008 con una grande recessione provocata dalla contrazione della produzione e degli ordinativi. Si tratta di una crisi che qualcuno vorrebbe paragonare a quella del 1929, ma gli eventi di oggi determinano effetti diversi e come tali, i rimedi vanno cercati operando in modo specifico su ogni fattore che l’ha determinata.

Sino a qualche tempo fa, c’era crisi quando il prezzo  giungeva al limite del costo di produzione perché l’offerta fosse accettata. Nessuno sapeva dove stava questo limite e si continuava a produrre riempiendo il magazzino di merce destinata a restare invenduta. Oggi, nonostante il fatto che, diversamente dal passato, nessuno produce più per il magazzino, succede che le imprese non hanno più ordini perché i costi non rendono più remunerativa la produzione. Le ragioni non risiedono in fatti legati alla tecnologia e all’idoneità dei prodotti offerti, ma da ragioni che sono del tutto estranee all’economia, ragioni che, seguite,  potrebbero riportare l’economia a risorgere anche molto rapidamente.

Non basta estirpare l’erbaccia perché la terra torni a produrre. I modelli del passato non servono più, e costruirne uno nuovo sembra impossibile perché la nostra autonomia finanziaria è molto limitata. Quindi è gioco forza, sul piano europeo e internazionale, agire in senso propositivo perché tutte le nazioni abbiano pari opportunità sul piano economico e sociale per riprogettare le funzioni d’intervento che i governi dovranno attuare orientando ogni sforzo perché la Cultura, l’Arte e l’Economia, nel mondo diventi esclusivamente il prodotto della Libertà e della Dignità della persona.
Sarà quindi necessario superare l’antiquato concetto della “Tutela dei diritti dell’uomo” ancora prevista dalla Carta dell’ONU e ripetuta anche nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea.

La Libertà dell’uomo non è diritto alla vita, all’integrità della persona, alla libertà e alla sicurezza, di sposarsi, alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; non è una sequela di diritti cui non corrispondono doveri come quando la persona per essere libera, deve aspettare regole per agire. Invece, queste regole, dovrebbero essere implicite a quelle che, in origine, si dà ogni gruppo associato con un proprio statuto che proclami le persone di essere libere di esistere e di scegliere le opportunità ritenute da loro stesse confacenti per vivere.
E’ intollerabile agire nella certezza che qualche  burocrate di un ente locale abbia a sostituirsi alla creatività di un imprenditore riconosciuto come meritevole e capace nella propria associazione, prima ancora che abbia potuto completare il suo progetto.

A questo punto mi sembra d’obbligo chiedere che come debba essere il Governo della nostra Repubblica e, soprattutto sapere che cosa occorrerebbe chiedergli.

SSul come, penso che il Governo dovrebbe perdere la concezione di essere la Cancelleria di un re Giorgio senza numero ordinale,  e configurare la Pubblica amministrazione  come agente di propagazione  economica e sociale secondo un’offerta politica che sia soddisfacente per le persone:
•creative che aspirano di appartenere a una società fondata sulla libertà di esistere e dove, sul diritto, gravi solo il peso di un’etica condivisa;
•ed anche a quelle che, già provate dall’eccessivo peso di rinunce nel dipendere da un’unica fonte di reddito attraverso il lavoro, desiderano appartenere a una società dove la libertà consista nell’esistere in una società dove le leggi coniugano la libertà attraverso l’equità e la giustizia.
Niente più collettivismo, niente più assistenzialismo, niente più uguaglianza ma solo opportunità. Soprattutto niente più pane e lavoro, ma occupazione perché il cittadino è sempre attivo e occupato per vivere.

Lo Stato non può più intervenire laddove il cittadino è capace di arrangiarsi da solo. L’assistenza, laddove strettamente necessaria, nasca dal dono del cittadino attraverso proprie libere associazioni religiose o laiche. Il dono è di per sé un’imposta, sia pure volontaria.  Il sentimento di dono va sostenuto perché con esso si ottiene un mezzo potente per ridurre la spesa pubblica. In Italia, donare è impossibile. Anche pagare i contributi ai partiti non sarà dono dal momento in cui la legge renderà possibile il loro finanziamento solo attraverso il prelievo fiscale.

Si ha dono nel caso in cui lo stesso impulso del dare costituisca un corrispondente bisogno da soddisfare, sicché il sentimento di carità si costituisca su beni abbondanti per il possesso dei quali non si manifestino conflitti d’interesse. Si ha scambio quando si cede un bene per ottenerne un altro più utile. Sia il dono, sia lo scambio presuppongono l’esistenza di una misura sufficiente dei beni da donare e da scambiare purché i trasferimenti dall’una all’altra persona avvengano in un clima di reciproca fiducia. Oggi ogni bene donato o scambiato avviene attraverso pagamenti monetari. Se si acquista qualcosa da donare equivale a dire che avviene un esborso monetario. Se si vuole stimolare i cittadini a riacquistare una certa autonomia al riparo della fiscalità compensata da una minor spesa pubblica, occorrerà pensare all’istituzione di servizi civili interessanti tutti in età comprese tra quella scolare e l’età estrema. In tal modo si potrà giustificare un salario di cittadinanza e si risolverà, per sempre, il problema delle pensioni minime e dell’assistenza ai poveri. Realmente la povertà potrà essere abolita come fu abolita la schiavitù. L’umanità – si spera presto – potrà dichiararsi affrancata dalla paura e dal bisogno.

Occorre ripensare il funzionamento dell’economia osservando quali potrebbero gli effetti sul moltiplicatore di Kahn quando siano immaginati in piena occupazione tutti i fattori di produzione, supponendo non più in conflitto quello del lavoro dipendente col lavoro autonomo comprendendo in esso quello prodotto dall’impresa personale. Non ci saranno nemmeno più problemi per le società di capitale perché saranno nella maggior parte “public company” regolatrici del mercato finanziario.

Featured image, Alfred Marshall: finanziò il lettorato di Keynes a Cambridge


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