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"Necrophylia" è sicuramente un romanzo duro, molto forte, a tratti splatter, abbondano le scene di sesso e di violenza. Un romanzo che, letteralmente, vuole prendere a schiaffi il lettore. Gli vuole dare pugni nello stomaco.
Il protagonista non fa altro che appellarsi al lettore, lo vuole scuotere, fargli rendere conto quanto la sua vita "normale" non sia così dissimile dalla sua di malato mentale. Ho cercato di far riflettere, in questo modo, le persone sulla reale sanità mentale con la quale si fanno scudo continuamente, mettendo in discussione per primo me stesso e poi tutti gli altri. E' un romanzo rabbioso, ma anche molto malinconico.
Non c'è spazio, sicuramente, per facili sentimentalismi, non ci sono parole di conforto e, in generale, regna poca speranza. Ma più di tutto a farla da padrona, troviamo un senso perenne di malinconia e, diciamo così, di rassegnazione. Un protagonista convinto dell'impossibilità di creare legami concreti con quella che siamo soliti chiamare vita. Atti di necrofilia ripetuti che sono l'unico contatto che ha con quello che lo circonda.
Una nonna ottantenne che non ha mai vissuto veramente e ora, in vecchiaia, cerca di riprendersi le sue rivincite con la vita. Il racconto di una vita al limite del grottesco. Esperienze tra il comico e il tragico. La certezza della morte, però, cambia le carte in tavola, almeno per un breve periodo. Sembrano ribaltarsi le premesse iniziali. Quello che prima si guardava con disgusto e ribrezzo si guarda ora con curiosità e voglia di vivere.
Animali che si mangiano tra di loro non sono più immagini di morte, rappresentazioni di disfacimento. La loro voglia di mangiare l'altro è presa a pretesto per notare la qualità indubbia degli esseri viventi: la loro volontà di vivere.
Nel finale le premesse precedentemente ribaltate torneranno di nuovo alla condizione iniziale. Le ultime, deprimenti pagine non lasceranno scampo nè alcuna speranza. Si finirà da dove si era partiti. Peggio ancora, per assurdo!
In una dimensione così cupa e senza scampo la morte sembra essere l'unico riparo, l'unica consolazione alle brutture che, ogni giorno, siamo costretti a subire.
I protagonisti e tutti i personaggi che fanno da contorno sembrano intrappolati, continuamente tirati verso il basso, in una morsa che trova l'unico sbocco nella negazione di sé e dell'altro da sé.
Un romanzo sporco, cattivo che, senza lesinare sulle immagini forti, con la sua dose sempre alta di cinismo riesce ad essere, allo stesso tempo, dolce e malinconico.
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