Chi o cosa sono i NEET? Un nuovo genere di nerd? L’ultimo smartphone in commercio? No, i NEET sono la categoria alla quale nessun giovane italiano vorrebbe appartenere. Eppure ben il 31,1% degli under 30 del nostro Paese ne fa parte.
In una recente intervista, il Professor Pietro Ichino ha ricondotto l’origine del crescente numero di NEET ad una disfunzione cronica di due fattori cruciali per chi si affaccia al mercato del lavoro italiano: l’orientamento scolastico e la efficienza dei servizi per l’impiego. Punti nevralgici della lotta alla inattività e alla disoccupazione sui quali il Legislatore non sembra ancora aver investito.
Certamente con l’obbligatorietà delle ore di alternanza scuola-lavoro inserite nella l.107/2015, «La Buona Scuola», si è mosso un primo passo in questa direzione. Ma siamo ancora lontani da quel concetto di orientamento scolastico tipico dei Paesi del Nord Europa, dove un giovane viene preso in carico dai Career Service scolastici e seguito passo nella scelta universitaria in seguito alla mappatura delle sue competenze e conoscenze.
Nel sistema italiano il ruolo di orientamento viene lasciato, nei migliori dei casi, alle famiglie di origine, come già richiamato in un nostro precedente articolo, che non sempre sono in grado di captare i dinamismi del mercato del lavoro e indirizzare correttamente i figli. Ed è dunque sempre più frequente che scelte determinanti nella vita di una persona, come per l’appunto quella del percorso universitario, vengano prese in maniera inconsapevole. Inconsapevole non solo delle successive opportunità lavorative, ma anche di quella che sarà la preparazione che un corso di laurea, o un ateneo in generale, potrà garantire.
L’orientamento rientra anche tra i compiti dei Centri per l’Impiego. Analizzando però i dati, purtroppo, il loro ruolo appare decisamente insufficiente. Nel 2011, hanno a malapena mediato il 3,4% delle collocazioni. Eppure avrebbero dovuto essere, in base al Programma Europeo Garanzia Giovani, il punto di snodo tra giovani NEET ed il mercato del lavoro. I numeri desolanti dei giovani presi in carico rispetto agli iscritti restituisce l’immagine di un meccanismo che, purtroppo, non risulta ancora oliato a dovere.
Come fanno quindi i giovani italiani a trovare lavoro? Semplice: con il vecchio e tradizionale mediterraneo “passa parola”. Alla buona stella di ognuno, dunque, la possibilità di trovare un lavoro.
Per un Paese come l’Italia non avere ancora un sistema di politiche attive che supporti i giovani, prima nell’orientamento scolastico e lavorativo e, successivamente, nella fase di ricerca di un’occupazione, pare paradossale. Come già ripetuto da una miriade di esperti giuslavoristi, il lavoro non si crea per decreto. Se dunque i recenti dati Istat possono dare una brezza di ottimismo, la perdurante mancanza di un sistema solido di politiche attive per il lavoro non potrà che evidenziare le fragilità del nostro mercato del lavoro.
Carlotta Piovesan