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Negli Anni - Capitolo II - Elementari

Creato il 14 aprile 2011 da Laperonza
Negli Anni - Capitolo II - Elementari 

Il primo giorno di scuola ero piuttosto spaesato. Non essendo abituato a stare in aula per via del fatto che avevo saltato l'asilo a piè pari, mi sembrava tutto piuttosto strano Tutti questi bambini sconosciuti, tutti vestiti uguali, di nero, qualcuno col fiocco rosso e qualcuno col fiocco blu (mi ci volle un po' a capire che era la distinzione tra maschi e femmine) e con una sbarretta sulla manica destra.

Ancora gli odori tornano con i ricordi. Non c'è nulla che ti porti i ricordi alla mente come gli odori, ma talvolta avviene il contrario: sono i ricordi che ti fanno sentire gli odori. Ho due figli e mi capita spesso di andare a scuola, ma ora gli odori sono diversi, forse sono i materiali, forse il mio naso maltrattato da un ventennio abbondante di fumo. Ma ricordo molto bene quel profumo di pastelli, di colori a cera, di carta stampata, il pizzicorino sul naso della polvere di gesso.

E ricordo benissimo l'alfabeto fatto con le figure sul lato sinistro dell'aula vista dalla cattedra, la lavagna sul telaio, i banchi verdi, i finestroni che davano su via Cavallotti schermati dalle veneziane turchesi. E la maestra, Lina Ciribeni Segatori, con il suo eterno chignon, l'aria austera ma rassicurante. La amai molto la mia maestra, come credo gran parte dei maschietti, e ne fui ricambiato. Era una donna materna e gentile, che mi ha insegnato molto.

Le finestre su via Cavallotti scandivano il tempo e le stagioni. Le veneziane si alzavano ed abbassavano in funzione dell'orario e della conseguente inclinazione del sole, e d'inverno erano solitamente aperte a mostrare i tigli spogli lungo il viale. Quando la lezione diventava pesante i tigli fungevano da distrazione, insieme alle nuvole, o alle rondini in primavera.

La maestra Segatori era fantastica ma aveva un limite: era negata in disegno. Ragion per cui fu stabilita un'ora o forse due per disegnare, il sabato, nel quale ci riunivamo nell'aula della maestra Luci che era ubicata al piano seminterrato, di fronte alla palestra. Mai utilizzata quella palestra: facevamo abbastanza moto nel pomeriggio, all'epoca la televisione era in bianco e nero, aveva due soli canali, e l'unico programma accattivante per un bambino era la tv dei ragazzi che durava giusto il tempo di fare merenda.

L'ora di disegno del sabato era il coronamento della settimana scolastica. Si lavorava ma in maniera creativa. Luci era molto stimolante. E poi c'erano i colori a tempera! Potevi pastrocchiare un sacco coi colori a tempera. E a quell'età pastrocchiare è uno dei grandi piaceri della vita.

Già dai primissimi giorni di scuola iniziò la mia amicizia con Serafino Chiurchiù, un'amicizia che è durata fino all'adolescenza, quando la vita poi ci ha dispersi in diverse direzioni, ma che è stata per quel che è durata intensissima, fraterna. Serafino viveva fuori le mura, in via Martiri D'Ungheria e andare a trovarlo per me significava giocare in campagna, appena sotto le case, all'aria aperta, giochi diversi e più creativi di quelli che potevo fare nel centro storico. Si giocava per i campi o al lavatoio, che ancora è lì, ben restaurato, ma allora ancora potevi trovarci pezzi di sapone di qualcuno che lo continuava ad usare. 

E anche lì c'era un folto numero di bambini. Mauro e Endrio, Lino, Marta, Anita, Lina, Emanuele e Gioacchino erano tutti parenti di Serafino. Roberto Plini veniva a scuola con noi e che era chiamato dalla maestra "L'angelo con le corna" per via del suo aspetto da biondo cherubino e del suo carattere a dir poco indomabile.  Qualche volta c'era anche un tal Gastone Gismondi che molti ora chiamano Sindaco.

Ho un aneddoto con Gastone e spero non me ne vorrà se lo racconto. Lui aveva un gruppetto diverso dal nostro per giocare, erano un po' più grandi e facevano giochi diversi dai nostri. Ma capitava di condividere qualche gioco abbastanza spesso. Una di queste volte,  il gruppetto di Gastone, c'era Paolo Pallì, mi pare ci fosse anche Peppe il fratello di Roberto, pensò bene di costruire la classica capanna che tutti i ragazzi prima o poi hanno costruito. Anche noi piccoli partecipammo a livello di bassa manovalanza.

La capanna venne piuttosto bene, tutta lamiere, cartoni e compensati. Era inverno e faceva piuttosto freddo, per cui qualcuno lanciò l'idea, non ricordo chi fu il genio, di mettere una stufa all'interno della costruzione. E con che la vuoi fare la stufa di una capanna a Montegranaro, per di più costruita sul retro di un calzaturificio? Ma con una bella latta di mastice vuota, con che altro? Facemmo appena in tempo ad uscire dalla capanna prima che saltasse tutto in aria, letteralmente. La latta di mastice la ritrovammo una cinquantina di metri più in là.

A casa di Serafino erano una tribù. A parte i fratelli, che già erano un cospicuo numero, c'erano cugini, amici dei cugini, amici dei fratelli, credo anche qualche portoghese che veniva a mangiarsi l'impagabile pizza bianca di Angelina. E io mi sentivo uno di loro. Una famiglia fantastica a cui voglio ancora un gran bene. Un ricordo particolare va a Mario, il padre, una delle persone più buone che io abbia mai conosciuto.

 


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