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Negli Anni - Capitolo VII - Le Stagioni

Creato il 26 maggio 2011 da Laperonza
Negli Anni - Capitolo VII - Le Stagioni

   Lo scorrere del tempo è scandito dallo scorrere delle stagioni e ogni stagione porta con se le proprie luci e i propri colori.  L'anno del fanciullo non parte a gennaio come per gli adulti ma a settembre, con l'inizio della scuola. E' un mese strano settembre, ancora caldo come l'estate ma tendente al grigio, con quel sole giallo che impallidisce giorno dopo giorno, con quelle nuvole che si rincorrono veloci in cielo quasi avessero fretta di radunarsi da qualche parte a far piovere.

   Settembre aveva l'odore dei libri nuovi, dell'astuccio nuovo, del diario nuovo, quel profumo di pastelli e carta stampata sapientemente mescolati dal caso. E' un odore dolce e amaro. Come le sensazioni che avevo quando la scuola stava per iniziare, sensazioni di tristezza per le vacanze finite e felice aspettativa di ritrovare i miei compagni e amici lasciati a giugno.

   La luce del giorno che durava meno, il fare i compiti in fretta per sfruttare le poche ore per giocare fuori, questo era l'autunno. I primi freddi, i primi maglioni sotto il grembiule nero. I tigli di piazzale Leopardi che perdevano le foglie, come quelli davanti le scuole rosse, appiccicati a terra dalla notte umida e dalla pioggia.

   E poi ecco la fiera di San Serafino e la caccia al giocattolo fuori stagione. A quei tempi i giocattoli arrivavano a Natale e per il compleanno. La fiera era un'occasione in più. E anche per questo ricordo tornano gli odori: quello dello zucchero filato e dei croccanti, quello della porchetta e del pesce fritto.

   Novembre portava il freddo più serio, la nebbia, la pioggia, i primi cappotti, magari quello dell'anno prima che non ti andava quasi più ma lo rifaremo nuovo per Natale. L'odore dei fiori al cimitero, quello delle candele in chiesa, quello dei primi caminetti accesi.

   Un odore che in inverno si mescola con quello dei termosifoni a gasolio. Un misto di legna e zolfo, che si faceva più acre ed intenso man mano che il freddo aumentava e le nuvole si facevano più basse. Lo chiamavo l'odore della neve, quell'olezzo denso, palpabile, probabilmente dovuto alla pressione atmosferica particolarmente bassa che si sentiva poco prima della neve. Quando lo sentivo da lì a poco sarebbe nevicato, e di solito non sbagliavo.

   Arrivava Natale col suo tripudio di luci colorate. Si faceva l'albero in cucina, rigorosamente vero, quelli di plastica nemmeno sapevamo esistessero, e il presepe nella credenza dei piatti, odore di muschio e resina di conifera.  L'esercizio creativo di fare il presepio era stancante e appagante. Ricordo una gara della parrocchia per il presepe più bello. Venne don Peppe, casa per casa, a valutare le varie natività, per poi assegnare un deludente ex equo urbi et orbi con tanto di diploma.

   Si andava alla messa il sabato sera, a San Serafino, e l'atmosfera era magica: le luci basse, il freddo fuori, l'odore di candele, il rosario che precedeva la funzione recitato sommessamente. Vedevo altri bambini, un po' più grandi, servire la messa. Così chiesi a mia madre se non potessi anch'io. Credo che fossi in seconda elementare. Don Peppe ne fu entusiasta. Da quel momento mi servii qualcosa come tre o quattro messe ogni fine settimana.

Quando al catechismo per la prima Comunione conobbi Uliano, lo trascinai con me nella missione impari di fare le ampolline e passare la borsetta della questua. Era una gara per servire la messa, essendo richiesti al massimo quattro chierichetti. Chi arrivava prima metteva la cotta, chi arrivava tardi al massimo partecipava alla scorpacciata di ritagli d'ostia che era consentita a fine messa.

Qualche volta andavo a servire messa anche a SS. Filippo e Giacomo, che in realtà era la mia parrocchia ma era frequentata solo da vecchine e don Manlio buonanima era tutt'altro che simpatico. Ma nonna Peppa era una delle "pie donne" della chiesa e mi toccava farla contenta, almeno ogni tanto. La chiesa era stupenda, l'atmosfera ancora più particolare, con quelle stufone a gas che facevano da riscaldamento non essendovi i termosifoni. L'altare per la celebrazione era fatto di un compensato leggero ed era tutt'altro che stabile. Era stato realizzato in via provvisoria in seguito al concilio, con la rivoluzione di dire messa rivolti ai fedeli, e il provvisorio, come troppo spesso accade, era diventato definitivo. Il chierichetto doveva prestare particolare attenzione a non spingerlo perché rischiava di cappottarsi. Il che avvenne una domenica d'inverno, la chiesa piuttosto piena, e il mio amico e collega chierichetto Alceste che dondolava semicosciente sui piedi sbattendo con la pancia sul ripiano ripetutamente. Don Manlio lo richiamò diverse volte, ma con scarsi risultati e l'ultimo colpo di pancia rovesciò l'altare, col calice e la patena che arrivarono a metà chiesa e l'"oooooh" generale dei fedeli.

L'inverno aveva anche altri odori: quello della carne di maiale insaccata sul tavolo da lavoro del laboratorio di mio nonno, finchè l'abbiamo fatto in casa, e quando non lo facevamo più da noi si andava in campagna a fare "la salata". E poi capodanno, con l'odore di polvere da sparo dei miseri fuochi artificiali sparati in giro, altro che le sontuose scenografie pirotecniche che vediamo oggi. A casa mia era vietato tutto quello che si accendesse col fiammifero, per cui il primo dell'anno e il giorno dopo si andava in giro a raccattare le miccette residue, i resti dei raudi e degli altri fuochi, si metteva insieme la polvere che ne risultava e si creavano fuochetti fatti in casa, probabilmente più pericolosi di quelli che mi erano interdetti.

Poi veniva carnevale, la festa più odiata e detestata. Non ho mai capito il motivo, ma a me metteva tristezza e malinconia. Tuttora. Ma l'odore delle frappe di nonna ancora lo sento, e anche un po' il sapore. Erano l'unica nota positiva. Odiavo mascherarmi e le poche volte che lo feci mi costò fatica e certamente non mi divertii.

Poi veniva la Quaresima che significava primavera. Il primo teporino che ti faceva credere del fatto che l'inverno era passato, archiviato, finito, e puntualmente, quando era davvero convinto di questo, arrivava l'ultima neve di primavera. Ma passava presto. E presto ricominciavano i giochi in strada.

Il profumo della primavera è quello dei prati, dei fiori, ma anche delle fave, dei carciofi. Il profumo dei gerani sul balcone. I colori che si fanno vivi, la luce più intensa, l'aria più chiara. E le stelle, grandi e tante. Una in particolare, la vedevo quando rincasavo la sera, al crepuscolo. Andando lungo via Garibaldi era sempre lì, sopra il tetto dell'ospedale vecchio, una luce forte e intensa. Era la mia stella. La cercavo. Ora non più, non c'è tempo.

Il profumo della primavera è anche l'odore di sudore giocando a pallone, la puzza di piedi quando ti toglievi le Superga. Le scorribande che ho già raccontato, con i carrozzi o con le bici, si svolgevano prevalentemente in primavera. In primavera si andava in campagna a giocare, con Serafino, o a casa di Luigi Catinari a caccia di serpi e falene da portare alla maestra. Si andava a ciliegie. Si andava per case coloniche diroccate immaginando chissà quali avventure cavalleresche.

Poi arrivava l'estate. Avevamo una casa a Civitanova e, con la fine della scuola, partivo coi nonni e andavo "in villeggiatura". Non che stessi male, anzi. Avevo i miei amici anche laggiù, ma soffrivo il distacco. Ogni tanto mi facevo una settimana a casa coi miei, che restavano a Montegranaro per lavorare, ma l'estate era forestiera, al mare. La casa aveva un piccolo giardino con in mezzo un albicocco che faceva quantità enormi di frutta. C'erano le lucertole da cacciare. Le lumache da collezionare. Ma soprattutto c'era la spiaggia e io adoravo la spiaggia. Si andava al mare la mattina presto, con l'acqua che sembrava l'olio per quanto era ferma. Era il momento di raccogliere le stelle marine e i cavallucci. E chi li ha visti più? E quando c'erano i cavalloni, ti bagnavi solo i piedi perché di più era (giustamente) vietato. La luce era marrone, come l'acqua, e l'odore di sale ti restava addosso anche quando tornavi a casa. Ma era odore di mare, non di idrocarburi.


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