Milano, Firenze, città d’arte più o meno “beate”, in tutte va in scena la polemica sul primo maggio, diventato festa dello shopping. “Definire stantia e superata la festa dei lavoratori e il conseguente desiderio di celebrarla col riposo appare assurdo”, che la festa del lavoro venga intesa come un normale giorno di lavoro (per di più di domenica) è inaccettabile per Filcams (Cgil), Fisascat (Cisl) e Uiltucs (Uil), sindacati di categoria pronti allo sciopero domenicale.
Il Codacons, che preferisce stare dalla parte di consumi più che da quella dei cittadini consumatori, che parla di “necessità di svelenire il solito clima tra guelfi e ghibellini, pronti a strumentalizzare ogni tema a fini politici” propone di “aprire i negozi 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, e poi saldi liberi e vendite sottocosto quando si vuole così aumenteremo la concorrenza e nessuno parlerà più del primo maggio”.
Sono tanti sembra a voler “rimuovere” la festa dei lavoratori: ieri l’azzimato Polito, il gagà col guanto penzoloni, ci ha messo in guardia anche lui dall’emotività che questa volta indosserebbe le vesti dell’arcaica e bigotta celebrazione dei valori del lavoro contro quelli innovatori e progressivi dei consumi. Il problema, dice l’uomo in brillantina, è che oggi, nelle società post industriali, è proprio il cittadino-consumatore il vero dominus dell’economia, del costume, delle mode e anche della politica.
E infatti anche noi con buona pace sua e del “diversamente-berlusconi” sindaco di Firenze, siamo convinti che questo sia un problema, che sia in atto una pericolosa offensiva contro il lavoro, la sua dignità, i suoi diritti e le sue garanzie, se si attribuisce un ruolo egemone non tanto al cittadino coosnumatore, il che potrebbe essere parziale ma legittimo ma a chi detiene i mezzi di produzione e oggi si fa interprete di una “modernità regressiva”.
La stessa polemica si era innescata in occasione della “costosissima” festa nazionale dei 150 anni dell’Unità, additata come una futile e dissipata celebrazione, pigra e parassitaria, cui preferire una bella giornata in ufficio, a scuola con la Gelmini, in fabbrica con Marchionne a riflettere operosamente sulla bellezza del profitto e sull’opportunità di dividere insieme agli utili anche il Paese.
Si direbbe che a questo regime si addica la produzione in uno dei effetti contemporanei: nuove disuguaglianze di reddito, di trattamento, di garanzie, territoriali. Applicano il pluralismo delle disuglianze e delle loro dimensioni, tante e differenti: salute, speranza di vita e di morte dignitosa, istruzione, godimento dei diritti, accesso alle tecnologie soprattutto quelle della comunicazione, tutto quello cioè in cui consiste davvero la libertà.
E allora si comprende l’offerta paternalistica di circenses come di rutilanti luci di centri commerciali, l’illusoria promessa di acquisti facili come tutte le scorciatoie proposte da un regime spregiudicato e corrotto che fa della mercificazione uno dei suoi pilastri. Tutto aiuta a non pensare, a preferire un immaginario modesto che a combattere per un futuro responsabile e gratificante.
Hanno capito che è meglio allontanarci dalle piazze, dal ragionare insieme, dalla percezione di ingiustizia che permane anche se non ha dato vita a grandi movimenti sociali, proprio perché è silente, atrofizzata, soffocata da piccoli privilegi che di giorno in giorno si affievoliscono.
Ecco fare la spesa senza quattrini non è un privilegio da difendere, è una distrazione dinamica e umiliante che ci viene erogata come una brioche, mentre avremmo fame di giustizia, equità, lavoro qualificato.
La democrazia reale dovrebbe dare ragione ai disuguali e voce alle loro proteste e alla loro memoria. Vogliono toglierci anche la voce, la piazza, la memoria dei diritti e delle conquiste. Quindi non ci resta che scioperare… anche dallo shopping.
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