Nei Balcani con Fritz Perls

Da Davide

Aspro e mite, rozzo e sottile,

familiare e stravagante, laido e puro,

di folli e saggi un convegno:

tutto questo son io e voglio essere

colomba a un tempo e serpe e maiale

F. Nietzsche

Ho trascorso una settimana nomade tra la Dalmazia, l’Erzegovina, la Bosnia e la Repubblica di Serbia. Viaggiavo con Zlatan, un caro amico bosniaco che mi ha fatto da Guida in questa terra per me tanto affascinante quanto sconosciuta e mai compresa, nonostante la vicinanza geografica con l’Italia. Accompagnava il mio viaggio il libro di Bernd Bocian Fritz Perls a Berlino 1893-1933. Espressionismo, psicoanalisi, ebraismo prestatomi da Matteo qualche mese fa, che leggevo la sera. Di solito prima di ogni viaggio scelgo un volume in maniera piuttosto casuale, poco meditata, passando lo sguardo sulle copertine o sui dorsi e prendendo quello che in quel momento mi pare più attrattivo, senza ragionamento alcuno. Si è dimostrata una scelta azzeccata.

Girovagare in luoghi dalla grande varietà culturale, martoriati da conflitti etnici e da una guerra di quattro anni nel cuore dell’Europa, portando uno scritto che definirei di storia sociale della psicoterapia. Di quella Gestalt che nasce nella Repubblica di Weimar e che cervelli e anime diasporici, minacciati della vita in quanto ebrei, portano nel Stati Uniti forgiando la pratica e la teoria attraverso la loro esperienza di immigrazione, fuga, distruzione identitaria e voglia di riscatto sociale e riconoscimento culturale.

Mi vengono alla mente i concetti di contatto culturale, di cultura nazionale, di capacità di reazione alle avversità della vita, di attaccamento alla vita. Fritz Perls studioso ebreo tedesco eccentrico e curatore di feriti, prima di guerra e poi dalla vita, che spesso sa essere crudele come la guerra stessa.

Guerra che ha portato allo scontro persone che convivevano da anni in nome dell’identità più pura, del territorio proprio, della storia più vera, in un crescere di violenze e di sfregi etnici che ci mostrano il lato più distruttivo dell’uomo verso altri uomini. L’uomo che, catalizzato dall’identità etnica, diventa uomo-massa e muove verso un nemico creato a suon di propaganda e ignoranza. E’ quando l’identità, sacrosanta necessità dell’essere umano, diventa rigida, statica e non-relazionale che si aprono le porte per le sofferenze più estreme.

Secondo la visione di Perls possiamo parlare di identità integranti in quanto noi siamo costantemente coinvolti in un processo creativo di auto-organizzazione identitaria, capaci cioè di creare delle Gestalt fluide e dinamiche che siano aperte all’assimilazione di nuove esperienze. La postmodernità pone grande enfasi sul superamento delle identità rigidamente strutturate verso la creazione di una personalità integrante, che sappia bilanciare una buona coerenza con una certa fluidità esperienziale.

Il lavoro mentale e identitario delle vittime di guerre etniche, di diaspore e di gravi attentati alla propria sopravvivenza personale e di popolo è di grande interesse per tutti gli approcci umanistici al cambiamento, alla crescita e allo sviluppo umano. Fritz Perls, assieme ad altri grandi psicoanalisti come Otto Rank e Wilheelm Reich, solo per fare due nomi, hanno costruito la propria pratica clinica sulle macerie delle loro vite diasporiche e minacciate, dimostrando che la creatività si nutre spesso di spaccature, lacerazioni, sofferenze e ferite da rimarginare.

L’esperienza di viaggio nel Balcani, le continue soste per il superamento dei confini pattugliati, i rituali burocratici delle scansioni dei passaporti, dei timbri, delle lunghe file di attesa del proprio turno creano una esperienza corporea e percettiva di continua interruzione nel fluire dell’esperienza, di ripetitività coatta, di controllo biopolitico e di profonda fragilità esistenziale.

Far dialogare le figure dei Balcani, visi, persone, edifici, simboli e atmosfere, con lo sfondo dell’esperienza di Fritz Perls e dello sviluppo della teoria della Gestalt è stato per me un modo originale per riattivare processi integrativi della personalità che spesso, nella quotidianità, rimangono sfruttati solo in minima parte, rallentando o bloccando lo sviluppo personale.


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