Ci sono autori impossibili da definire e tanto meno da classificare.
Autori che più si rileggono più ci mostrano nuove profondità.
Autori che parlano della sacralità della parola e della purezza della vita, senza la pretesa di rivelare chissà quale mistero, né proporre ricette per la felicità. Autori che celebrano il silenzio e amano la solitudine più di una donna.
E per questo se ne stanno appartati, lontano da ribalte mediatiche nonostante i riconoscimenti. Christian Bobin è uno di questi.
Ben noto in Francia, dove è nato e vive, misconosciuto in Italia, Bobin è un vero e proprio autore di culto.
Al punto che in Italia i suoi testi più recenti sono stati pubblicati da una piccolissima casa editrice musicale di Otranto, AnimaMundi , solo per "fame dei libri di Bobin", come mi ha scritto il fondatore, Giuseppe Conoci.
"Ci sono autori nei confronti dei quali leggerli è quasi un offenderli, uno sporcarli. C'è una purezza che ad accostarla troppo ti fa sentire indegno": scrive Gianfranco Bertagni nella prefazione a La vita e nient'altro. Parole che sono prossime alla mitizzazione, che rischiano di trasformare Bobin in un maestro di vita e di allontanarlo dal lettore. Nulla è più estraneo a Bobin.
Libri come La vita e nient'altro , Sovranità del vuoto , Mozart e la pioggia , Il distacco dal mondo, Louise Amour, viene difficile considerarli raccolte poetiche, romanzi o saggi. E' vero che la scrittura di Bobin è sempre una ricerca poetica.
Scrivere è un modo di rispondere alla vita. Abbiamo sempre bisogno di rispondere a un dono con un altro dono, non per sdebitarci, ma per continuare a donare e ricevere, senza fine.
Così scrive Bobin in Mozart e la pioggia. Ma riconoscere nella vita un dono incessante non significa negarne l'irrimediabile dualità: il fondo della vita è terrificante e bello, le due cose allo stesso tempo, le due cose simultaneamente. Bobin non è affatto incline al buonismo, anzi afferma che non crede ai buoni sentimenti ma: mi fido solo dell'amore. Allo stesso modo, riconoscere nella scrittura un dono è riaffermare l'ambiguità della parola e assumersene la responsabilità. In questo l'autore francese è senz'altro poeta. Egli sa che nell'ambiguità sta la debolezza e la ricchezza della scrittura, quella molteplicità di significato che rende lo sguardo dello scrittore com-passionevole verso il mondo perché nulla può essere detto in maniera definitiva. Neppure dal Dio cui Bobin s'accosta silenziosamente, rispettosamente. E' un Dio che non sa nulla, un po' folle, un po' strano, che ha dimenticato anche il suo nome perché il suo nome è migliaia di nomi: silenzio, aurora, nessuno, lillà.
Un Dio che non sa, cosa mai potrà dire all'uomo che lo interroga?
Se ne sta in silenzio, tace per rendere possibile il dialogo con l'uomo, dell'uomo con se stesso e con la vita.
Bobin si fida solo dell'amore che, in quanto dimensione di apertura totale alla vita, rende possibile il dialogo. Per lui la scrittura è dialogo con un Tu. E questo Tu può essere una persona reale - come la Nella di - o un Tu senza nome, impersonale, che potrebbe essere il lettore, o la vita stessa. Quella vita che per Bobin è fonte di inesauribile contemplazione. Per contemplarla e viverla pienamente Bobin sta in silenzio, in solitudine, osserva più che scrivere, ascolta più che leggere. Ama la solitudine più di una donna, confessa.
E guarda alla vita nelle cose essenziali, nella loro nudità. Il suo è un elogio della semplicità. Non occorre inseguire chimere di gloria, né idealismi o
sentimentalismi. Basta stare a osservare la pioggia che scivola sui vetri perché non c'è altra leggerezza/se non quella dei gesti che liberano la vita quotidiana/senza pretese senza porsi domande.
In una intervista pubblicata dall'Avvenire il 30 aprile 2013, Bobin definisce la scrittura come una lotta prima con se stesso e poi col mondo, o meglio con ciò che del mondo vi è in lui. Lotta contro gli addormentamenti della mente che ci rendono morti in vita, contro le rinunce e gli abdicamenti di fronte a uno stato di cose barbaro. Contro il nostro violento rifiuto di essere meravigliati dal solo fatto di vivere.
Attraverso la scrittura Bobin cerca di ritrovare la purezza interiore del neonato, lo sguardo nudo, sgombro da conoscenze e pregiudizi. E' lo sguardo proprio della nuova creatura che, in qualche modo, appartiene anche a coloro che s'avvicinano alla morte. In questa ricerca lo scrittore resuscita ogni giorno a nuova vita. E a questo chiama anche il lettore. Non esiste più alcuna differenza tra scrittore e lettore: questi legge con lo stesso atteggiamento col quale l'altro scrive. Legge non per conoscere ma per dimenticare, non per acquisire e accumulare ma per perdere e perdersi - - lasciandosi carezzare il cuore dalla pioggia che è nei libri.
Perché nei libri piove, dice Bobin: una pioggia sottile scivola sulle pagine, scende sul cuore.
I libri - ecco un'altra entità vitale - tracciano coordinate, disegnano mappe per guidare il lettore verso se stesso, verso la sorgente d'acqua che risveglia la sua anima intorpidita dalle convenzioni, da tutto ciò che lo ha allontanato dalla purezza. Il lettore è come un bambino mentre g li scrittori sono dei rabdomanti. La loro mano magnetica si posa sul cuore nudo del lettore, riassorbe la febbre, tramuta il sangue in acqua. Contemplando il mondo nella sua semplice presenza anche un volto, una pietra, un fiore possono apparire come libri liberamente donati. Eppure il libro - la scrittura - ha una debolezza irrimediabile: quella di essere così vicino al silenzio, alla morte che tutto semplifica al pari dell'amore.
I momenti più luminosi della mia vita sono quelli in cui mi accontento di vedere il mondo apparire. Questi momenti sono fatti di solitudine e silenzio. Sono sdraiato su un letto, seduto a una scrivania o cammino per strada. Non penso più a ieri e domani non esiste. [...] Forse la solitudine e il silenzio non sono nemmeno indispensabili per degli istanti così puri. L'amore da solo basterebbe.Così scrive in Mozart e la pioggia.