Nei paradisi fiscali di tutto il mondo, gli ‘happy few’, i super-ricchi hanno nascosto al fisco dei loro paesi un tesoro pari ad oltre 17.200 miliardi di euro, cifra pari alla somma dei Pil di Usa e Giappone.
E’ l’agenzia Agi ad aver diffuso la notizia ieri sera, pubblicando un dato che da solo mostra una volta di più quanto la crisi economica sia effetto di uno squilibrio fra efficacia delle leggi e distribuzione della ricchezza. Il mondo civile ha affidato l’uso della forza al diritto e il diritto all’elaborazione di leggi da parte di assemblee politiche rappresentative della volontà dei cittadini. Un sistema che con grande evidenza produce ingiustizia economica e moltiplica le disuguaglianze sociali. E non può la democrazia porsi questo problema e riformarsi in modo tanto radicale: la produzione di consenso, infatti, richiede grande impiego di denaro, con metodi attualmente impiegati.
Il dato riferito ieri dall’agenzia Agi si riferisce alla fine del 2010 sulla base dell’elaborazione dei dati incrociati della Banca Internazionale dei Regolamenti, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, curata – afferma il sito della Bbc – da James Henry, ex capo economista della societa’ di consulenza globale McKinsey. Il sito web del servizio pubblico britannico, cita fonti del fisco di Sua Maesta’ che ritengono eccessiva la cifra. Henry rilancia sottolineando che il totale da lui citato riguarda solo le somme depositate sui conto correnti off-shore e non le ricchezze materiali come proprieta’ immobiliari o yacht. Anzi, secondo lui la stima e’ prudente: il vero ammontare sarebbe di oltre 26.000 miliardi di euro.
Si può discutere sull’entità della somma – per quanto la società McKinsey sia una delle più credibili e nello stesso tempo brillanti sul piano internazionale – resta il fatto che non basta cercare di applicare leggi generali ed astratte e nemmeno puntare sull’educazione degli individui. Dati del genere dimostrano che lo Stato, in quale forma venga realizzato, non riesce per nulla a giungere nemmeno a un compromesso col capitalismo e che giace in sua balia. Non resterebbe che ripartire da modelli di autogestione dell’economia se si vuole rispondere all’imperativo etico di riprendersi la democrazia assassinata dai predatori internazionali.
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