Ci sono albi che non si accontentano di una rapida lettura o di una distratta sfogliata. Ci sono albi che a dispetto, o forse proprio in virtù, del loro dirsi per bambini celano una complessità suggestiva fatta di non-detti, perché il loro compito è incontrare l’emozione non sul piano del razionale ma, più profondamente, al livello primordiale e istintivo nel quale si origina.
Lavori che sovente accedono ad una dimensione onirica, nei quali il viaggio che viene raccontato non è semplicemente quello fisico, dove i simboli sono importanti, dove l’atto stesso del leggere è costretto ad abbandonare il suo carattere di apprendimento per incontrare, più propriamente, la dimensione del sentimento.
Anthony Browne è di certo uno straordinario narratore iconico, uno di quei maestri che non si contentano di mostrare, nelle loro tavole, ma hanno la capacità di intersecare piani di sfaccettata complessità che dialogano con l’inconscio.
Osservare una successione di illustrazioni, dove nulla è lasciato lì a caso – dal minuscolo particolare alle tonalità di colore scelte – diventa quindi un’esperienza emotiva in grado di incupire e illuminare, appesantire e alleviare, sempre con un occhio attento all’animo dell’infanzia, e a quelle che sono le sue paure più forti.
Si discetta spesso del ruolo che i simboli delle fiabe tradizionali hanno nella rappresentazione psicologica dei turbamenti dei bambini. E’ voce unanime quella che sostiene che personaggi e situazioni delle fiabe hanno il compito di dar voce e figura alle paure e, attraverso la loro messa in scena, aiutare i piccoli ad affrontarle ed esorcizzarle.
Gli aspetti più cupi, disperati e cruenti dei racconti della tradizione non rispondono, quindi, ad un gusto dell’horror o a tributi alla violenza, bensì a chiare e precise esigenze psico-emotive che portano i giovanissimi ascoltatori a riconoscere e affrontare, tramite esse, i loro più profondi timori.
A questa funzione e interpretazione si rifà Browne nel suo albo “Nel bosco”, edito da Kalandraka, un gioiello di illustrazione e di empatia con l’animo infantile, nel quale i simboli delle fiabe, immersi nel simbolo dello smarrimento per eccellenza – il bosco – sono utilizzati esattamente per rappresentare lo sgomento di un bambino di fronte alla prospettiva dell’abbandono, indubbiamente una delle paure più forti e sconvolgenti dell’età infantile.
La voce narrativa è resa in prima persona, conferendo alla lettura una forza coinvolgente e spingendo ad immedesimarsi con il piccolo protagonista, un ragazzino che, dopo una notte movimentata di temporale, si sveglia al mattino e trova che il papà non è più in casa.
Subito chiede spiegazioni alla mamma, seduta assieme a lui ad un tavolo della colazione nel quale, più che la presenza dei due, svetta la sedia vuota che racconta il peso dell’assenza.
Fin quando la stessa mamma non gli affida un compito: portare la torta appena sfornata alla nonna che vive in una casa raggiungibile tramite due strade: una lunga che gira tutto intorno, e l’altra breve che passa per il bosco.
Il bimbo, solitamente ligio alle regole, stavolta non può permettersi la via tortuosa: deve essere di ritorno in fretta per accogliere il padre nel caso decidesse di rincasare.
Si infila quindi nella foresta ed ecco che qui le tavole perdono colore per ammantarsi di tonalità di grigio in grado di rappresentare un’uscita dalla realtà.
Solo il protagonista conserva le tinte vivaci di abbigliamento e capigliatura; egli è l’unico elemento reale nell’esperienza psicologica dell’attraversamento del bosco.
Ora il lettore deve necessariamente aguzzare la vista: tra i rami fitti e intrecciati si annidano particolari importanti per la meta-narrazione, elementi che fanno da controcanto al racconto, che spiegano là dove le parole, per fortuna, non sono chiamate ad esplicitare.
Chi è il bambino con una mucca legata alla corda che il nostro protagonista incontra per primo? Una sottile pianta di fagiolo che tra la boscaglia pare salire sicura fino al cielo e una mazza chiodata da gigante appesa mimeticamente ad un ramo forniranno la risposta.
Come anche i tre piccoli orsi, in lontananza, nascosti, potranno dire di più sulla bambina dalle trecce e l’aria arrogante che, per seconda, chiede di avere il dolce destinato alla nonna.
Su chi siano infine i due ragazzini piangenti, in attesa dei genitori che li hanno lasciati soli per andare – hanno detto – a tagliar legna, non avremo dubbi. Soprattutto se tra gli arbusti scorgeremo le solide e inquietanti sbarre di una gabbia e in lontananza una casetta che pare fatta di dolciumi…
Dietro questo, i più attenti scorgeranno un minuscolo muso di lupo. Ma non importa che la bestia feroce sia o meno presente in ossa e pelo. Ciò che conta è che, una volta indossata la mantella – questa sì, piena zeppa di colore – il giovanissimo protagonista si scopra pervaso di terrore e, sentitosi seguito, inizi la sua fuga smarrendosi nel folto della foresta.
Durante la corsa fanno capolino dai disegni altri oggetti e personaggi noti: una zucca, una scarpetta, una chiave, un principe a cavallo, un fuso, un gatto con tanto di stivali…Il mondo della fantasia, e qui anche dell’inquietudine, ha preso il sopravvento: il bambino è oramai uno di loro, un eroe dei racconti che deve confrontarsi con le paure e gli eventi dolorosi che in essi si narrano.E proprio quando il climax si fa insostenibile, esattamente quando l’arrivo alla casetta della nonna pare il preludio allo scontro con il lupo – o con qualche altro cattivo per eccellenza – lo scenario turbinosamente cambia.
Tornano i colori, gli interni rassicuranti di una casa nota e nel letto nessuna bestia travestita ma…solo la nonnina, con un sorriso ampio e felice, da una guancia all’altra.
Chi ha dissolto i timori? Chi ha riaccolto il bambino a braccia aperta nella sua realtà, finalmente di nuovo luminosa e allegra?
Il papà che, con le braccia spalancate lo saluta. Il papà che è tornato e ha dissolto l’ansia dell’abbandono, lo spettro della solitudine, lo spavento della mancanza.
Non resta infine che tornare dalla mamma, il cui volto ridente occupa un’intera doppia facciata. L’ultima dell’albo, talmente viva e realistica da parere quasi vera.
Un albo denso, ricco, capace di farsi materia fertile per la sensibilità di lettori diversi, perfino di differenti età. Eppure allo stesso tempo un albo lieve, lento nel testo che si srotola pacato, semplice ed essenziale, senza agghindarsi di fronzoli inutili né di sovrabbondanti notazioni.
Come ha già notato Barbara Ferraro nel suo blog – Atlantide Kids – parte iconica e parte testuale stanno in questo libro in un rapporto simile a quello che occupano ne “Il paese dei mostri selvaggi” di Sendak. In entrambi un raccontare leggero, quasi piano, fa da accompagnamento ad illustrazioni che sanno mettere in figura l’inconscio e i suoi moti .
E il viaggio, nel suo incanto onirico e nella sua magia, è l’espressione più potente di un passaggio, e un travalico, emotivo.
(età consigliata: dai 4 anni)
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