Con un quarto d’ora di ritardo, alle 21.45, Renzi sale sul palco della Festa del PD di Villalunga (RE). Lo stesso palco su cui recentemente è salito l’ex (ex?) avversario, Pierluigi Bersani.
Molti dei presenti erano in platea anche due giorni fa, proprio per assistere all’intervento dell’ex segretario: gente certo affezionata al “semplice e onesto” emiliano, ma al quale non perdonano la “non-vittoria”, l’occasione mancata alle scorse elezioni. La folla (più di 5.000 persone: nonostante agosto, nonostante il caldo, nonostante la campagna) non è animata da quell’entusiasmo isterico da renziano della prima ora: sono adulti e anziani che alle scorse primarie mai avrebbero pensato di votare il sindaco di Firenze. Si son rassegnati: forse il pivello toscano è l’unica chance per andare, finalmente, al governo.
Certamente condizionato dalla consapevolezza di parlare ad una platea e in una terra legata in modo atavico al PCI (pardon: al PD), quello di Villalunga è un Renzi inedito, più istituzionale: abbandona gli slogan – senz’altro un punto fondamentale della sua strategia comunicativa, ma che corre il rischio-ripetitività – e riduce al minimo le critiche al partito e allo stato maggiore (certo non mancano le frecciatine a Bersani, né il tema-rottamazione, ma risparmia la Bindi e lascia indenne Stumpo).
L’intervistatore, il direttore del TG1 Mario Orfei, dopo cinque minuti si vede costretto ad abbandonare la scaletta e dopo altri dieci rinuncia a fare domande, tramutandosi in una sorta di argine nel vano tentativo di contenere il fiume in piena-Renzi (Dio solo sa quanto gli sia pesato l’autoimposto silenzio stampa).
Un Mario Orfei letteralmente travolto dalla logorrea di Renzi
“Questo è o non è il paese che è uscito dalla seconda guerra grazie a gente che ha deciso di rimboccarsi le maniche, rischiando la propria vita?”: l’incipit – in provincia di Reggio Emilia – è senz’altro tra i migliori; catturata in due parole anche l’attenzione dell’ultimo tra i novantenni, il Sindaco tocca, in poco più di un’ora e mezza, tutti gli argomenti caldi, partendo dalla provincia reggiana: elogia la tenacia delle piccole e medie aziende locali, che lottano per la sopravvivenza in uno stato che impedisce loro di essere competitivi, e il sistema di asili nidi, “il migliore d’Italia”.
“Il governo Letta si logora se non fa le cose, non perché ne parla Renzi” risponde a chi lo accusa di tramare contro l’attuale esecutivo; il sindaco – almeno così dichiara – fa il tifo per Letta e soprattutto fa il tifo per un PD più forte all’interno del governo, un PD che detti la linea invece di rincorrere Berlusconi.
Renzi cita Letta stesso: “questo non è certo il governo che avremmo voluto”, ma sottolinea la necessità di approvare quelle riforme (prima tra tutte quella elettorale) utili a rimettere in carreggiata il nostro paese. Che governo di larghe intese sia, ma non a tutti i costi: basta trincerarsi sotto l’alibi della responsabilità, si passi ai fatti.
Il fisco è senz’altro l’argomento che gli vale più applausi: un fisco amico, che insegni e guidi nel pagamento delle tasse, non un’Agenzia delle Entrate avvertita come nemica e ostile. Renzi batte forte anche sul tasto semplificazione: necessità di abolire il bicameralismo perfetto e di snellire la burocrazia “Obama ha vinto le elezioni con lo slogan «yes, we can». In Italia, per ogni cittadino che dice «yes, we can» c’è un ufficio statale che risponde «no, non puoi»”.
Parla con entusiasmo dell’Europa che vorrebbe, o meglio, degli Stati Uniti d’Europa: “sogno un Italia che sia il traino dell’Europa, non accetto che ci si accontenti di «non fare la fine della Grecia»“, e chiude: “L‘incontro con la Merkel è stato voluto dalla cancelliere stessa. Mi ha fatto chiamare dopo aver letto un’intervista da me rilasciata ad un pool di giornali europei. Voleva conoscere la mia idea di Europa“.
Francesco Cottafavi