No, scusate, ma chi se lo immaginava che il ciccioso Silent Bob, tenero nerd che in Clerks aveva la fissa dei fumetti, poteva tirar fuori una pellicola dura, cruenta e politicamente devastante come Red State? Passati i fasti del suo applauditissimo esordio, Kevin Smith non è infatti stato pressoché mai più in grado di ripetersi e quell’impasto di ritmo e humor scoppiettante che aveva contraddistinto la sua opera prima sembrava ormai solo un ricordo sbiadito.
E meno male: perché con questo minuscolo film indipendente, presentato in anteprima europea qualche mese fa a Locarno, l'ormai quarantunenne cineasta abbandona completamente l’atmosfera ilare delle sue prove precedenti e re-inventa in maniera nuova la sua poetica, lasciando di stucco! La storia piega a proprio piacimento le regole classiche dello slasher mettendo in scena Trevis (Michael Angarano), Jarod (Kyle Gallner) e Billy-Ray (Nicholas Braun), tre cazzari adolescenti che condividono tutto: la scuola, le feste e soprattutto la tempesta ormonale, scatenata dalla compravendita di sesso online con una donna matura apparentemente disponibile (è la mitica, straordinaria Melissa Leo, già ammirata qui e qui). La faccenda porterà i tre amici in contatto della famiglia Cooper, specie di setta con a capo un Pastore fanatico (un grande Michael Parks) che predica la parola di un «Dio del terrore e della paura», perseguendo una personale guerra armata contro la corruzione dei costumi - con particolare astio nei confronti degli omosessuali. Lo snodo della vicenda si compie quando compare a indagare Keenan (John Goodman, definirlo attore maiuscolo è ancora troppo poco), un agente speciale davvero tosto che però spende molte delle sue energie a cozzare cogli ordini perentori dei suoi caporioni all'FBI.
Omofobia, fondamentalismo religioso, potere militare e sovversione alle gerarchie sono i numerosi spunti che il bravo Smith mescola con abilità straordinaria, senza mai arretrare, affondando il proprio stiletto nella follia di un paese (gli USA, ma con essi tutto l'occidente) allo sbando e proponendo attraverso i crismi dell'horror una sua lucidissima visione dei nostri tempi: sepolto dalle preghiere e dai canti espressione di un fanatismo intriso di provincialità estrema, bigottismo e paura, ciò che viene fuori è l'insensato caos in cui oggi le nostre vite sguazzano senza meta.
In Red State (dalla contrapposizione tutta americana tra red e blue States, ovvero tra stati repubblicani e democratici), Smith prende la scansione ritmica di un film di genere e la innesta sulla riflessione di un autore finalmente maturo: il risultato è una parabola autenticamente anarchica sullo scontro tra convinzioni, una fulgida rappresentazione dell'orrore quotidiano portato all'eccesso (davvero sublimi le scene con le sparatorie tra le autorità e la setta barricata nella chiesa). Non c'è una divisione manichea tra buoni e cattivi, solo punti di vista ugualmente paradossali: e sta allo spettatore decidere quale è meno peggio. Peccato che il film duri così poco (circa un’ora e venti): godersi Goodman alle prese con le mille sfaccettature del suo personaggio è una goduria.
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No, scusate, ma chi se lo immaginava che il ciccioso Silent Bob, tenero nerd che in Clerks aveva la fissa dei fumetti, poteva tirar fuori una pellicola dura, cruenta e politicamente devastante come Red State? Passati i fasti del suo applauditissimo esordio, Kevin Smith non è infatti stato pressoché mai più in grado di ripetersi e quell’impasto di ritmo e humor scoppiettante che aveva contraddistinto la sua opera prima sembrava ormai solo un ricordo sbiadito.
E meno male: perché con questo minuscolo film indipendente, presentato in anteprima europea qualche mese fa a Locarno, l'ormai quarantunenne cineasta abbandona completamente l’atmosfera ilare delle sue prove precedenti e re-inventa in maniera nuova la sua poetica, lasciando di stucco! La storia piega a proprio piacimento le regole classiche dello slasher mettendo in scena Trevis (Michael Angarano), Jarod (Kyle Gallner) e Billy-Ray (Nicholas Braun), tre cazzari adolescenti che condividono tutto: la scuola, le feste e soprattutto la tempesta ormonale, scatenata dalla compravendita di sesso online con una donna matura apparentemente disponibile (è la mitica, straordinaria Melissa Leo, già ammirata qui e qui). La faccenda porterà i tre amici in contatto della famiglia Cooper, specie di setta con a capo un Pastore fanatico (un grande Michael Parks) che predica la parola di un «Dio del terrore e della paura», perseguendo una personale guerra armata contro la corruzione dei costumi - con particolare astio nei confronti degli omosessuali. Lo snodo della vicenda si compie quando compare a indagare Keenan (John Goodman, definirlo attore maiuscolo è ancora troppo poco), un agente speciale davvero tosto che però spende molte delle sue energie a cozzare cogli ordini perentori dei suoi caporioni all'FBI.
Omofobia, fondamentalismo religioso, potere militare e sovversione alle gerarchie sono i numerosi spunti che il bravo Smith mescola con abilità straordinaria, senza mai arretrare, affondando il proprio stiletto nella follia di un paese (gli USA, ma con essi tutto l'occidente) allo sbando e proponendo attraverso i crismi dell'horror una sua lucidissima visione dei nostri tempi: sepolto dalle preghiere e dai canti espressione di un fanatismo intriso di provincialità estrema, bigottismo e paura, ciò che viene fuori è l'insensato caos in cui oggi le nostre vite sguazzano senza meta.
In Red State (dalla contrapposizione tutta americana tra red e blue States, ovvero tra stati repubblicani e democratici), Smith prende la scansione ritmica di un film di genere e la innesta sulla riflessione di un autore finalmente maturo: il risultato è una parabola autenticamente anarchica sullo scontro tra convinzioni, una fulgida rappresentazione dell'orrore quotidiano portato all'eccesso (davvero sublimi le scene con le sparatorie tra le autorità e la setta barricata nella chiesa). Non c'è una divisione manichea tra buoni e cattivi, solo punti di vista ugualmente paradossali: e sta allo spettatore decidere quale è meno peggio. Peccato che il film duri così poco (circa un’ora e venti): godersi Goodman alle prese con le mille sfaccettature del suo personaggio è una goduria.
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