Popolazioni Himba - Namibia 2003
Il discorso esasperato di ieri, forse è frutto di un attimo di insopportabilità che può capitare a tutti quando devi sentire delle cose che fanno arricciare i peli e raggrinzire la pelle e pertanto ve ne chiedo venia. Senti come l'alito gelato del ritorno della mummia, del mago perfido delle favole che lusinga i bimbi con le caramelle colorate per trascinarli nell'Averno e allora le parole, anche prive di misura ti salgono così, da sole e anche oltre le righe. Però a folata di neve passata, ti rimane l'amaro in bocca. Soprattutto quello che mi fa male è questo odio terribile che i vecchi hanno verso i giovani. Questo trascurare e annichilire le loro potenzialità, negando loro un futuro normale, come quello avuto da noi. E' una sorta di cattiveria davvero perfida e sottile, che da un lato fa sì che vengano coccolati, mantenuti e resi certi di avere alle spalle qualcuno che li fa sopravvivere comunque, anche a prezzo delle perdita di una dignitosa indipendenza, dall'altra tarpando loro qualunque possibilità di entrare nella società civile ad "agire". Quanto disprezzo sento continuamente verso questi ragazzi che sono ignoranti, fannulloni, privi di impegno e di idee, svogliati e buoni a nulla, assieme choosy e bamboccioni da un lato, fancazzisti e rompiballe dall'altra. A parole tutti pronti a dire che bisogna fare qualcosa per il loro futuro, nei fatti determinati a mettere barriere invalicabili per impedire che vadano a scalzare posizioni privilegiate, posti di comando sicuri, spesso rubati o conquistati per stanchezza e diventati sine curae comode e ghiotte.
Non parlo dei fenomeni o dei bravissimi, quelli se la cavano comunque in qualche modo grazie alle loro capacità e riescono a penetrare la barriera, ma quello che fa pena è la massa dei normali, o anche dei mediocri che certo ci sono per forza di cose e sono maggioranza, e non è giusto che siano condannati alla cancellazione, una o due generazioni da eliminare dalla società civile, segnati a sopravvivere alle spalle di parenti per tutta la vita senza nulla costruire di proprio, finché ce ne saranno, poi abbandonati al nulla che si ritroveranno tra le mani. Voi mi direte, ma è un atteggiamento mammistico tipicamente italiano e latino che aiuta a provocare tutto questo? Forse sì. E' davvero completamente male tutto ciò? Bisognerebbe discuterne. Sappiamo che i paesi di matrice anglosassone la pensano diversamente ed il distacco dalla famiglia è visto come un banco di prova obbligato per entrare nella vita a piedi uniti. Forse questo atteggiamento di base, alla fine provoca però un sentiment generale in cui il sociale in un paese, è visto come un fastidioso e negativo orpello da limitare il più possibile. Chi non ce la fa da solo si aggiusti, così la società diventa darwinianamente più competitiva e forte. Sta di fatto che quando si comprime in questo modo una generazione, anche edulcorandone i problemi con una assistenza familiare di certo esagerata e negativa, prima o poi i problemi esplodono in tutta la loro furia ed alla fine Giove finisce per uccidere Crono per prendere il suo posto, visto che non c'è altra possibilità e 'sto vecchio schifoso che si divora i figli (o era Saturno) non vuol proprio saperne di togliersi dalla balle.
Ma vi voglio raccontare una storia. Eravamo sulle piste rosse di polvere e di sabbia del deserto del Namib. La nostra Toyota arrancava cercando di non finire nei punti di sabbia più morbidi o traballava penosamente nei tratti liberi tentando di adattarsi al tremolio della tole ondulée. Paul, l'autista, era sudafricano che le rughe profonde del volto e la pelle bruciata dal sole facevano apparire forse più vecchio di quello che era. Parlava pochissimo, solo le parole necessarie e avresti detto che gli occhi grigi, attenti a tutto quello che c'era intorno, per indovinarne in anticipo i pericoli, avevano una certa sfumatura di tristezza consapevole che veniva di lontano. Quando, un po' forzato, ci raccontò qualche episodio della sua storia, capivi subito che la sua non era stata una vita facile in quella terra selvatica, piena dei contrasti di una società ricca di tensioni, accoppiata ad una natura severa ed impegnativa. Era nato nella ex-Rhodesia da genitori africaans, in una piccola fattoria circondata dal bush, imparando da solo a conoscere il mondo rude che lo circondava e frequentando le scuole della vicina cittadina. Quando ebbe compiuto diciotto anni, il padre lo richiamò in casa, mentre era nella stalla a strigliare il cavallo. Capì subito dal suo sguardo che non era stato chiamato per la cena. Con poche parole chiare gli disse che era ormai un uomo, gli mise in mano l'equivalente di un mese di stipendio e un vestito nuovo che la madre aveva lasciato steso e ben stirato su una sedia. - Adesso vattene, trovati un lavoro e una casa e non tornare indietro. - Poi se ne andò sulla veranda a fumare la vecchia pipa di radica che aveva ereditato dal nonno. Paul prese la sua piccola valigia e se ne andò in città a cominciare la sua vita di adulto. Non ce lo disse, ma credo che non li abbia mai più rivisti. Io non so se questo è bene, ma vi dico chiaramente che non mi piace, non mi piace affatto.
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