Martedí - ME. Le lettere e i giorni (odio_via_col_vento)
Sono nata a Bologna nel millenovecentosessantanove. Un’altra figlia della Generazione X. Mentre in via Zamboni gli studenti si scontravano con la polizia, io andavo a letto dopo Carosello: ho mancato in un colpo solo il Sessantotto e il Settantasette. E come il Fabrizio Bentivoglio di Marakkesh Express, appartengo anch'io alla generazione che ha ancora i ricordi in bianco e nero. Una generazione bamboccia, come l'ha definita Danilo Maso Masotti nel suo divertente Ci meritiamo tutto. Sono anch'io "un'adultoscente" (bella parola adultoscente: come ho fatto a non pensarci io?) un individuo votato "a non crescere il più a lungo possibile, magari per tutta la vita perché no. In fondo crescere non piace a nessuno. .." Certo a me non e' mai piaciuto.
E dire che da bambina con ho sempre avuto la testa tremendamente sulle spalle, come mi dicevano tutti. Fino a quando un bel giorno, in furioso ritardo sulla tabella di marcia generazionale, la fase adolescenziale che avevo tanto diligentemente evitato da ragazzina, mi colse di sorpresa alla vigilia dei trent'anni, quando ormai non l’aspettavo più. Accadde una sera d’inverno quando, rientrando a casa dal lavoro in autobus stretta tra una marea di corpi vocianti, il pensiero che quella sarebbe stata la mia vita per i prossimi quarant'anni mi folgorò in tutta la sua potenza. “No, no. Scusate tanto ci deve essere un errore..." disse una vocina nella mia testa. "Questa non puo essere la mia vita. Di certo io sto vivendo la vita di qualcun altro... Rivoglio indietro la MIA vita, please!” Fu un'epifania. Ricordo di essere scesa dall’autobus e di aver fatto il resto della strada che mi restava (che non era poca) quasi di corsa. A quel punto ho deciso che il lavoro ‘fisso’ , 'la vita troppo stretta e dritta' cantata da Ligabue, poteva aspettare'. Per lo meno ancora un po'. E indecisa com'ero tra allevare pecore in Irlanda e fare il rasta a Barbados, ho fatto le valigie e sono venuta in Inghilterra.Ho sempre avuto il pallino dell'Inghilterra. Colpa de La Banda dei Cinque e della Rai che mandò in onda quella serie quando avevo otto anni. Tratta dai libri per ragazzi della scrittrice inglese Enid Blyton, raccontava le avventure dei quattro vivaci cugini Kirrin - i fratelli Julian e Dick, la loro cugina Georgina e il suo cane Timmy, il quinto della banda. Quella serie ebbe effetti devastanti sulla mia gia' galoppante immaginazione di figlia unica. Avrei voluto uscire dal portone di casa e vedere brughiere nebbiose e cespugli di ginestre spinose della campagna inglese. E invece ciò che vedevo erano i capannoni del Fiera District poco lontano, e campi coltivati a perdita d’occhio e una casa diroccata in cui si diceva avesse sostato Garibaldi. Era il 1978
Ho lasciato Bologna in un giorno di sole, colma di filiali sensi di colpa per aver preferito il Fish & Chips alle lasagne della nonna, con un paio di cd di Guccini nella valigia e London Calling dei Clash, esaltata all’idea di aver almeno momentaneamente rimandato il (per me) terrificante appuntamento con il lavoro di contabile che mi aspettava dopo il corso, visto che il mio 110 e Lode e l'appoggio dell'insegnate che aveva seguito la mia tesi non erano stato sufficiente ad assicurarmi un dottorato all'Universita' di Bologna. Sono scappata. E non ho mai guardato indietro - se non al sole dell'Italia, alla famiglia e a quel pugno di amici VERI che mi porto dietro da anni e che sono una delle cose più importanti della mia vita.
E il fatto che non abbia ancora deciso cosa farò ‘da grande’ sembra disturbare solo gli altri. Volevo fare la veterinaria, la giornalista, la ricercatrice, la commerciante, e sono finita a fare la guardasala in un museo di Londra. La mia Londra non è perfetta, come non lo era quella dei Sex Pistols. Non è vero che qui tutto possibile. Ma è una citta' multietnica, inebriante e intellettualmente stimolante. E mi ha dato una cosa che l’Italia mi ha negato: la possibilità di provare a realizzare i miei sogni e capire, nel provarci, che in fondo quelli erano sogni degli altri e non i miei. Che i miei erano, in fondo, molto più semplici. Penso che fra qualche mese compirò 44 anni e mi viene da ridere. Che come Dante sono arrivata 'nel mezzo del cammin di nostra vita' e nella mi selva oscura pare che abbiano rubato i cartelli con la scritta 'uscita'. Ma se anche se ci fossero, non sono così sicura di volerli trovare. Che la mia vita mi piace cosi com'è.