L’altra sera lei mi ha fatto leggere alcune poesie, mi ha detto: “Leggi queste”, erano poesie di un suo amico sconosciuto che ambisce a farsi conoscere, voleva un consiglio da me, mi ha detto: “Non dirmi che ti piacciono, se mi dici che ti piacciono ti ammazzo”, a lei non piacevano ma si sentiva in imbarazzo col suo amico sconosciuto, nemmeno a me piacevano, erano poesie che imitavano lo stile di poeti famosi, poeti moderni, poeti dalla lingua pazza, se c’è una cosa che non si può imitare è la poesia di qualcun altro, se si imita la poesia di qualcun altro vuol dire che non si è capito niente di che cos’è la poesia, “Allora?” mi ha detto lei, mi sono alzato dal divano e mi sono messo a cercare un libro, ho trovato il libro, era Poesia degli ultimi americani, ho aperto una pagina a caso e le ho detto: “Ecco, leggi”, le poesie del suo amico sconosciuto erano tali e quali, però più brutte e più vuote. La mattina dopo ho letto una cosa di Marguerite Yourcenar, la cosa diceva così: “Ho scoperto Kavafis nel momento della sua morte, nel momento in cui un poeta in qualche modo si libera. Spesso, bisogna che i poeti muoiano perché si cominci a parlare di loro”, allora ho preso il telefono e l’ho chiamata, volevo dirle: “Sai, a proposito di quelle poesie che mi hai fatto leggere ieri sera, le poesie di quel tuo amico, ecco, l’unico consiglio che sento di dargli è di smettere di scrivere poesie e aspettare di liberarsi”, però lei aveva il telefono occupato.