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Nel mondo in cui mi incammino

Creato il 13 maggio 2011 da Abattoir

“Nel mondo in cui mi incammino, mi creo interminabilmente (…). Ed è superando la portata storica, strumentale, che apro il ciclo della mia libertà” (Fanon, 1952)

Questa città è magnifica, se sai dove cercare, penso una notte qualunque di una maggio indeciso e un po’ turbolento, camminando mezza incosciente verso casa. È magnifica nel suo essere così dolcemente illuminata da lampioni discreti e molto gialli, che non lasciano spazio a paure immotivate delle tenebre, ma non disturbano troppo quella dimensione temporale che vorrebbe permetterti una rivoluzionaria reinvenzione di personalità. È una città proprio bella, coi suoi alberi ordinati su due file nelle vie dritte e iper-razionali, a fianco dei quali puoi credere di essere in Europa, puoi credere di essere ordinato anche tu. Ma in questa città giri un angolo e ti ritrovi in un groviglio di stradine per niente europee, ed è una fortuna, qualcosa di stretto e insondabile, da vivere con spirito di avventura, da non temere, perché sono lì per portarti a un tesoro, non per privartene. Allora cammini su pavimentazioni non più lisce, ma antiche e frastagliate di mattoni che hanno subito il calpestio di generazioni di camminatori, e pensi di essere dentro una storia che cambia di continuo, che non ti permette di rimanere uguale a te stesso mai, anche se i mattoni, le balate, sono sempre umide, e mai smetteranno. Questa città è magnifica, nel suo essere fluida, non granitica, attraversabile. Allora lasci l’auto da qualche parte e cammini, cammini, e pensi, incontri, guardi, ascolti, ed eccoti lì nella storia che non segue mai una sola linea, ma binari intrecciati non programmati da un’intelligenza superiore agli scambi, ma dal funzionamento fatalmente perfetto. Incontri, dunque, e, questa città è magnifica, è facile parlare senza essersi mai visti, di fronte all’ingresso di una taverna dall’aspetto decadente, che passa musica di un certo tipo, scelta con cura, e ricca di profondi significati anche per chi non la conoscesse. È facile, dicevo, con un bicchiere in mano, guardandosi negli occhi lucidi come le balate, parlare di oggi e di ieri e di domani, perché qui c’è un fluido passato che diventa presente e respira già di futuro. La città è un wok, per chi sa come miscelare gli ingredienti, come ascoltare il mescolarsi delle culture. Per chi si accorge che non c’è più un tu e un io, c’è già un noi che si è reinventato, prima ancora che qualche vegliardo resistente potesse dire “io qua non ce li voglio”. Perché “loro” ci sono, sono in mezzo a noi, siamo noi. E allora cammini in questa magnifica città che è una padella, come un pomodorino che si scioglie a fuoco lento, e prende sapore dagli altri ingredienti, e regala sapore agli altri ingredienti. Il calore cresce, di notte in notte, e questa città è una magnifica cena da consumare attorno a un tavolo improvvisato, con stoviglie tutte diverse, rigorosamente in lingue inventate per l’occasione, con una buona dose di sorrisi, e bicchieri pieni di liquidi colorati, e occhi lucidi come le balate, che mai si asciugano.


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