Diciamo piuttosto che va di moda, che se ne parla per penuria di idee o quando, di riempirsi la bocca in qualche modo c’è comunque bisogno, e perdonate la metafora che qui, calza proprio.
Nel porno, al contrario di quanto scrivono alcuni, non c’è niente di poetico e per parlarne bisogna conoscere almeno un po’ la materia e fare le debite distinzioni tra erotismo, pornografia e real sex.
Le testimonianze poi, in letteratura lasciano il tempo che trovano perché la poesia è nelle lacrime e nel sangue e vederlo versare da altri per raccontarlo, non fa lo stesso effetto che provare certe emozioni su di sé.
L’erotismo, fatto salvo l’eros in senso filosofico o anche letterario di proustiana memoria (e mi fermo qui perché di esempi ce ne sono tanti), è per il resto quella roba patinata da settimanali consentiti anche in famiglia, la Fenech sotto la doccia che s’insapona, la sodomia “supposta” da un’espressione di sofferenza della prima attrice, quello che in tanta letteratura, soprattutto “femminile” in senso dispregiativo, fiocca come neve nei film hollywoodiani: poco reale e fastidiosa.
L’erotismo è quello che dice seno e non tette, sedere o fondoschiena anziché culo, membro invece di cazzo, una tale falsità di linguaggio che fa lo stesso effetto che fumare eucalipto anziché marijuana.
La pornografia è assai peggio dell’erotismo e fa male. Ancora meno poetica e lontana dalla liricità del reale, dell’uomo timido e normodotato –anche bruttarello- che si sente a casa e, finalmente libero, esprime i suoi più profondi desideri erotici.
Nel porno, ci sono uomini superdotati –pagati anche bene- e donne siliconate in primo piano, scelti da un regista per recitare un atto sessuale completo e le sue variazioni, e che mettono in primo piano, in location scelte ad hoc, impersonali e che non raccontano nulla sulle loro storie, ridicole performance che hanno il solito comune determinatore: orgasmi multipli e lunghi e ripetitivi gemiti mal interpretati.
Cosa c’è di poetico in questo?
Quale liricità posso leggere in un’attrice che dopo un regolare provino passa da un set all’altro, come da uno sportello all’altro di qualsiasi ufficio postale munita, anziché di bollettini e francobolli, di biancheria volgare e fazzolettini disinfettanti?
Il porno è un’industria cinematografica ed editoriale e basta, spesso guardata e comprata anche dai suoi più temuti oppositori, lontana mille miglia da quello che gli umani, quelli brutti, sporchi e cattivi, fanno, pensano e vogliono veramente accada nel proprio letto o nella cabina dello stabilimento balneare.
E la poesia, invece, sta proprio lì, ed è ben nascosta nella verità dei desideri più comunemente chiamati perversioni, le più diverse e spesso inimmaginabili, quelle delle lacrime e del sangue che, inespresse, abitano la fantasia del nostro vicino di casa, la sculettante quarantenne che va a fare la spesa e la signora con il carrello che si guarda intorno al supermarket.
La poesia è nel real sex, quello che ci racconta cose mai viste, distante da orgasmi ripetuti di sadiana memoria –che pure è più real di qualsiasi film porno- o da orge di 600 uomini con una porno star di grido al festival dell’hard core più frequentato.
La poesia è in una donna in un bagno pubblico che beve ciò che si beve in un cesso e da sette uomini diversi, solo perché è il suo Master (Padrone) ad averglielo domandato.
Perché lì sta la bravura e il coraggio di chi racconta, lì la sfida al vero perbenismo, anche quello che si traveste da nuovo cultore del porno e solo perché, ripeto, non trova altra ispirazione, perché va di moda, perché bisogna sempre far finta di scoprire qualcosa di nuovo.
La poesia non si trova nei salottini di Club Privè dove la serata si riduce a quattro imbecilli in tute di latex e qualche troietta che balla sul cubo con la lingua di fuori e le tette al vento, è molto più probabile che si trovi nella complicità di due coniugi che pagano camionisti in un autogrill: lui vuole vederla scoparci, mentre lei lo guarda negli occhi, con amore.