“Sedici sedicenti seduttrici sedevano sedate. Su: me./ Accettarne: la presenza./ Accettarne: la superficie./ Mai: accertare.” – “Primavera, incipit”
“Nel regno dell’Ade” (Edizioni Ensemble, 2013) è la prima raccolta di brani poetici di un giovanissimo quanto abile autore romano, Edoardo Vitale.
Già dal titolo si presenta un lavoro dai toni cupi, nato e generato dalle riflessioni di un’anima che affida alla penna l’esegesi delle sue più fragili debolezze, delle sue osservazioni, dei suoi dolori, talvolta giovanili, talvolta universali.
La suggestiva ed azzeccata immagine di copertina, un quadro della talentuosa artista bolognese Ester Grossi, offre lo spunto giusto per immergere il lettore nelle atmosfere “ultraterrene” che lo aspettano.
Troviamo il ritratto di un mondo in bianco e nero in cui troneggiano grossolane e pesanti pennellate emotive di rosso sangue acceso. In questa rappresentazione pittorica del mondo infernale del poeta, che trova il suo titolo grazie ad un gioco di parole con il dolce nome della sua musa Adele, Edoardo Vitale si serve di un forte realismo evocativo delle immagini. Scorre con il suo dinamismo giovanile lungo un su-e-giù, percorrendo un moto altalenante che ora sfiora le corde più secche della grande poesia ermetica, ora ributta il lettore sul grigio asfalto di crudi termini da beat generation. E, come i componimenti beat, si tratta di brani che vanno spesso gridati, sussurrati, recitati lasciandosi guidare dal filo emozionale disposto dall’autore.
In questa composizione, l’impianto visivo delle poesie possiede un ruolo importante, in particolare lo possiede la punteggiatura. Risultando infatti questa non del tutto sufficiente ad esprimere i desideri dell’autore, egli non ha disprezzato un superamento delle tradizioni, inserendo segni grafici tra i più vari ed ottenendo pagine che vantano strette somiglianze con i lavori avanguardisti del futurismo.
Il suo occhio penetrante e scrutatore segna incidendolo sull’anima un malessere che viene avvertito come spogliato dalle sue maschere, finalmente osservato con occhio rivelatore alla stregua di quanto era stato fatto, in mondi diversi, da artisti come Ginsberg e Majakovskij.
Il poeta appare come sperduto e spaesato all’interno della sua realtà, sbattuto infinitamente dalle onde violente del quotidiano. Il suo Io presenzia a reggere, ad unificare i moti emotivi, retto da un enorme e radicato deus ex machina, un amore.
“Della pienezza./ Derubricare./ Obliterare i nostri giorni./ Pulita come il bianco./ Mi rubi l’acqua dagli occhi.” – “Pulita come il bianco”
Amore profondissimo appiglio dell’anima dispersa del poeta turbato, amore rosso sangue che impregna d’erotismo ogni pagina, amore unica traccia di speranze sempre pronto a comparire in explicit, quando l’autore sembra quasi cedere alla tentazione di occludere ogni possibile via di salvazione. Senza farlo mai.
Immagine di copertina: “Rosso” (acrilico su tela, 2012) di Ester Grossi
Prefazione di Luigi Cinque
Written by Francesca Lettieri
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