Colpevolmente nel silenzio dei media tradizionali d’Italia e del mondo intero, in Turchia si stanno svolgendo al momento alcune tra le più sentite proteste di quello che si potrebbe definire come “il mondo occidentale”, mentre il governo e le forze di “sicurezza” vengono meno al loro ruolo reprimendole nella violenza.
Tutto è iniziato quando, la scorsa settimana, un gruppo di pacifici ambientalisti ha tentato di prevenire la demolizione di un parco in centro ad Istanbul. Demolizione, questa, che avrebbe portato alla successiva edificazione di un centro commerciale. Insomma, era la tipica situazione in cui viene percepito un affronto del progresso nei confronti della natura, e così una folta folla si era data appuntamento per protestare questo fatto.
Tuttavia, per dei motivi che non sono ancora del tutto chiari e che probabilmente, nella concitazione del momento, non lo saranno mai, la polizia ha risposto con violenza a queste persone, alcune delle quali, ferite anche duramente, sono state fotografate, così come è stato fotografato l’intervento eccessivo della polizia medesima.
Un’immagine vale più di mille parole, e così le proteste sono diventate “virali”, su internet e non solo. Da poche dozzine di protestatori ne sono giunti a centinaia, non solo ad Istambul ma anche altrove, nel giro di due soli giorni.
L’uso assolutamente incomprensibile di un’eccessiva forza da parte delle forze di pubblica sicurezza ha causato un’escalation non solo nel numero dei manifestanti, ma anche nel numero delle tematiche portate avanti.
Così, le proteste hanno virato dalla loro origine ambientalista, ed ora si svolgono contro l’attuale governo ed il partito di maggioranza, l’AKP, in italiano, “partito per la giustizia e lo sviluppo”. Esso, di ispirazione conservatrice, detiene dal 2002 il potere in Turchia, ed il suo presidente è Primo Ministro dal 2003.
A questo governo conservatore vengono dunque contestate molte scelte legislative compiute in questi dieci e passa anni da chi protesta.
Iniziando dal sistema dell’educazione, cambiato in larga misura e con gran fretta dall’AKP con un occhio di grande riguardo nei confronti delle scuole religiose, tanto che il Primo Ministro ha più volte dichiarato di voler formare una “gioventù devota”.
Viene poi contestata la censura turca per la stampa ed i giornalisti in senso lato, che è stata inasprita a tal punto da causare innumerevoli arresti contro giornalisti dietro il sospetto che essi fossero terroristi contro lo Stato. La Turchia attualmente è con ogni probabilità la più grande prigione del mondo per i giornalisti. Lo stato di internet è peggiorato drasticamente, con numerosissimi siti turchi costretti a chiusura: anche su di loro, la mannaia della censura.
Vengono poi portate in piazza anche le istanze delle donne, frustrate da una restrizione enorme dell’aborto e delle pillole anticoncezionali. Il Primo Ministro, sempre lui, ha dichiarato che vorrebbe almeno tre figli per ogni donna turca. Sempre riguardo la pubblica pudicizia, è stata portata avanti una campagna contro le manifestazioni d’affetto pubbliche e televisive, anch’essa criticatissima dai manifestanti.
Molti giovani, magari meno informati ma non certo meno toccati da queste riforme fanno numero e si uniscono alle proteste, anche per fatti di minore entità, come la restrizione degli alcolici portata avanti dallo stesso governo, che ha fatto sì che durante i festival muisicali e universitari fosse vietata la consumazione di bevande alcoliche. E’ inoltre vietato bere alcool ovunque possa essere visto: insomma, lo si può fare, ma solo in solitudine e nascosti dalle altre persone.
A queste tematiche se ne aggiungono altre: una privatizzazione sfrenata, senza passare attraverso una consultazione popolare; arresti sospetti di alti gerarchi e militari; il supporto dato dal governo turco agli estremisti islamici sunniti.
Quel che sta avvenendo in Turchia, tra i fumi tossici dei gas lacrimogeni e le piazze in fiamme (tanto che su internet gira più di qualche foto ritraente un’Istanbul vista da lontano immersa nella polvere, nel fuoco e nei fumogeni), è la ribellione di un popolo frustrato che per dieci anni ha dovuto fare i conti con una serie di politiche del tutto inadeguate ai tempi moderni e refrattarie ad una “occidentalizzazione” della Turchia che, tutto sommato, è l’evoluzione naturale di quello Stato, una sorta di eccezione mediorientale da sempre portatrice di novità e di modernità, ancor più se comparata soprattutto alle altre nazioni confinanti di grandissima fede islamica e, spesso, di estremismo.
Il popolo turco sta cercando di lanciare un messaggio, forse scontato per le democrazie più vecchie e navigate d’Occidente, ma non per questo meno importante: non solo perchè si hanno vinto le elezioni si può fare quello che si vuole: esistono dei limiti che non possono essere valicati. E questi limiti lo sono stati, evidentemente, durante le fasi iniziali di queste proteste, facendo saltare quel tappo che per troppo tempo è stato vacillante.
articolo di Giacomo Conti