Orfana di commissione, come si è detto, la ‘povna ha dovuto ripiegare sulla tradizionale sorveglianza. Del resto, i turni, l’ultimo giorno di scuola, li aveva fatti lei, insieme a DaddyLongLegs.
“Mettimi mercoledì alle 11.30 nella commissione dei Maculati grandi, insieme a Mafalda” – gli aveva detto – “Poi, se mi chiamano presidente, vi avverto; altrimenti almeno ho qualcosa da fare”.
Per questa mattina dunque la ‘povna si era organizzata per far rientrare tutto: sveglia alle 7, nuotata propiziatoria dalle 7.30 alle 8.30, passaggio dalla merceria a ritirare 3 paia di pantaloni cui ha fatto fare l’orlo, passaggio a casa, cambio borsa, stazione e treno per la scuola.
Ed è così che all’ora stabilita, senza bisogno della sveglia, si alza, garrula. Afferra il cellulare per controllare l’ora esatta, e subito le prende un colpo. Il telefono segnala alcune chiamate perse, e quattro o cinque messaggi. Tenuto conto che l’ultima volta che l’ha visto era otto ore prima (alla fine di Brasile-Messico) alla ‘povna viene da pensare male. Due comunicazioni in realtà sono irrilevanti, e le archivia senza pensarci; le altre invece sono tutte di Mafalda, che ieri sera la avvisava (inutilmente) che l’orario del loro turno (non si sa da chi, non si sa come, né quando) è stato spostato alle 8.30 (e non più dai Maculati grandi, ma da quelli piccoli).
“Porca Paletta” – esclama la ‘povna (ché oramai vale sempre la pena ricordarlo), mentre fa il numero di scuola, come un fulmine. Avvisato MiStanco che arriverà con 10 minuti di ritardo, ricalibrato mentalmente l’ordine della sua giornata (prima scuola, poi piscina, la merceria rimandata al pomeriggio), la ‘povna corre, corre, corre. Suonano le 8.40 quando, infine, stremata e sudaticcia, si presenta in commissione.
Per fortuna ci pensano gli italici ritardi: CommissioneWeb si imballa, la fotocopiatrice si inceppa. Alla fine, se dio vuole, arrivano le tracce. La ‘povna si impadronisce di una copia, legge voracemente. E le cascano le braccia. Perché (con la parziale eccezione dell’ultima), sono, a riunire tutto il giudizio in un aggettivo, “brutte”. E poi, a voler specificare, si può essere più analitici: datate, superficiali, ripetitive, benpensanti, emanano un sentore di conservatorismo, unito a tocchi qua e là di cripto-militanza clericale.
“Queste tracce trasudano per ogni riga l’impronta del ministro” – chiosa la ‘povna, mentre le guarda con Mafalda. Intanto, online, si scatena il canale telematico.
“Quasimodo???” – domanda Viola esterrefatta.
“Vedere come il Ministero elabori sempre temi per l’esame di stato altamente intonati al sentire della critica più aggiornata genera un piacere tutto particolare” – commenta JCamp.
“Io nel mio manuale l’ho citato come esempio di qualcuno uscito dal canone” – ricorda l’Amica Collega.
“Forse si intendeva quello di Hugo” – è l’amara battuta un po’ di tutti.
Ma intanto Quasimodo lì sta, e ci resta. E il problema, come argomentava la ‘povna (sempre sulla pubblica piazza) non è tanto se quell’autore si è fatto o non si è fatto (il tema tipologia A non presuppone un autore e un testo noti, anzi; si basa sulla capacità di un’analisi strutturale del testo), ma che la normativa non ti obbliga a scegliere un testo brutto, rispetto a un canone estetico che conosca la parola “aggiornamento”, o che non sia dotato di un minimo di specifico letterario.
Eppure, la poesia vituperata non è nemmeno il peggio pezzo. Che arriva al saggio breve di ambito “letterario e artistico”: un’accozzaglia di documenti mal collegati, tutti, o quasi, in odor di acquasantiera, o almeno gruppettarismo (spiccano delle immagini male assortite, poco chiare e poco nitide – una delle quali non si perita di addurre alla disamina, quasi che fosse dato storico, la falsa donazione di Costantino).
Il resto è banalità, soprattutto. Il tema socio-economico riprende, con un po’ di documenti presi a randa, la (molto più raffinata) traccia generale dell’anno scorso. Quello di ambito tecnico-scientifico, sulla “tecnologia pervasiva”, a essere molto buoni si è già visto. “Violenza e non violenza” (mettendo però insieme il culo con le quaranta ore, Martin Luther King e Mosse) si affrontano nell’ambito storico-politico. E la stessa, lucida, prospettiva storiografica (il confronto tra mele e pere, unità di misura presa a caso) si abbatte sadica sul tema di storia.
Si salva solo la tipologia D, una frase di Renzo Piano sulle periferie sulla quale ci sarebbe da dir molto: e infatti i più baldanzosi si buttano su quella. Ma, complessivamente, è un trionfo di banalità tecnologica. Passeggiando tra i banchi, la ‘povna ascolta molti (e ragionevoli) sospiri di protesta.
Il ministro, intanto, su Twitter, si vanta in una esplicita excusatio.
La ‘povna, dall’altezza modesta del suo pulpito, rimpiange la raffinata originalità di Maria Chiara, l’anno scorso. E prende atto dell’ennesimo colpo, affondato dall’istruzione pubblica, nel ventre molle di un’Italia attardata.
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