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Giovedì 21 marzo 2013
CAMMINARSI DENTRO (463): Nell’Aperto troverà il suo ubi consistam ogni nostro più intransitabile abbandono
Il bisogno di esistere non è soddisfatto solo dall’amore ricambiato. Senza rassegnarsi alla condizione dolente di chi è stato abbandonato e non riesca a ritrovare una dimensione piena dell’esistenza personale, conta spostare il baricentro della realtà sul proprio Sé, sulla parte oggettiva della personalità, sull’immagine depositata nella vita delle relazioni, nel lavoro… Non sull’io e le sue pretese di controllo e di dominio, di presa diretta e di direzione.
C’è l’onda del desiderio da soddisfare. Sempre. E il desiderio ci riporta alla vita e alle sue innumerevoli opportunità. La realtà è piena, secondo la grande psicoanalisi. La dimensione del vuoto è perdita di senso, fascino della dissolvenza, delirio di immobilità. All’ostinazione del vano chiedere sostituire la ricerca di senso, non rinunciando mai a darne uno ad ogni nuova evidenza. Dobbiamo imparare a governare i nostri sentimenti, attraversando il deserto del nostro scontento e curando pazientemente ogni più dura mancanza che si aggiunga alla mancanza che ci costituisce. Cedere alla tentazione di esistere. Abbandonare la dura soglia. Non attardarsi nell’attesa.
Ek-sistere, cioè protendersi oltre la mera percezione della propria ferita, per attingere il più corposo Sé, tutto quanto con il tempo si è stratificato e che è stato costruito accatastando i beni ricevuti, fino a farne muro al vuoto dei giorni perduti.
C’è dell’altro dentro e fuori di sé. Il lungo inverno del disamore deve essere attraversato impegnandosi a coltivare la propria anima: non bisogna trascurare il giardino della propria interiorità, armandosi degli attrezzi appropriati, per consentire alle più piccole piante di crescere e di affermarsi alla luce che attende.
In attesa del distacco definitivo, prepararsi al peggio, al deserto che verrà. La traversata può durare anche anni. Non ha senso restarsene immobili a implorare la pace perduta. Curare un’anima è il compito più grande. Anche la propria anima.
Se l’amore fu troppo grande, se l’investimento emotivo e sentimentale non consente oggi di riguadagnare spazi perduti, per poter dire ‘giardino’, impegnarsi a diradare le nebbie che impediscono di raggiungere i confini del mondo per piantare la bandiera della disperazione e lasciarla lì.
I sei lati del mondo vanno ridisegnati tutti: alto, basso, avanti, dietro, sopra, sotto. La tenda è senza teli. Restano esili bacchette a ricordare che un tempo lì c’era una casa. Il vento freddo e arido del silenzio ha portato via con sé ogni riparo. I confini di ogni ‘lato’ sono perduti.
Imparare a perimetrare la propria esperienza è il da farsi. Fare un tetto. Inventarsi una porta. Chiudere finestre. Tracciare confini. Occupare saldamente lo spazio dell’aldiqua. Arredare la provincia dell’uomo. Curare piante nei vasi e in giardino. Sistemare ogni giorno vestiti e suppellettili nelle proprie stanze. Togliere la polvere ogni giorno. Restituire allo spazio della propria esistenza i caratteri della casa. Riaprire i confini all’ospitalità. La cura è nell’aperto.
L’esperienza del dolore soltanto garantisce il governo dei sentimenti. Senza scadere in una masochistica accettazione della sofferenza che ci è stata inflitta, dobbiamo virilmente dire sì a un dolore che ci appartiene. Di esso definire le ragioni. Ma affrettarsi a portare fuori il cane. Innaffiare le piante. Mettere nei cassetti la biancheria pulita e stirata. Attivare l’aspirapolvere. Restituire trasparenza ai vetri. Riassettare il letto. Liberare il giardino dagli sterpi abbandonati. Ordinare ogni angolo della casa. Fare pulizia di fino, come viene insegnato ai ragazzi nelle Comunità educative: controllare che non ci siano ombre sui rubinetti e sulle maioliche del bagno e della cucina; passare il detergente sui lampadari, sotto i tavoli, lungo il battiscopa, sullo stipite di ogni porta… Ma, soprattutto, uscire a fare la spesa, provvedere alla manutenzione della macchina, rinnovare la carta d’identità scaduta, controllare in libreria le novità, come un tempo. Fermarsi a parlare con tutti quelli che hanno qualcosa da dirci. Prima o poi, ci ritroveremo di fronte a una nuova evidenza, accanto a tutto ciò che già si mostra a noi, che richiederà da parte nostra che diamo senso all’aperto, alla vita che di nuovo ci viene incontro.