(Recensione “Carlo Giuliani. Il ribelle di Genova”, BeccoGiallo 2011)
Non ci si può illudere di rimanere passivi rispetto alla Storia. Non ci si può illudere di lasciare che il flusso scorra senza ostacoli, sfiorandoci appena senza toccarci emotivamente. Le vicende genovesi del 2001, “i fatti di Genova” come li ha definiti la pubblicistica, hanno tirato l’affondo al Ventesimo secolo tramontato, spianando la strada, come ruspe sbuffanti, alla nuova era del potere. Da quelle giornate, ci dividono dieci anni. Già, luglio 2001 – luglio 2011. Il calendario, beato il suo inventore, è una cosa seria, matematica, certa.
Su questo segmento di tempo, da vertice a vertice, hanno corso lacrime, passeggiato guerre, imperversato stravolgimenti. Le primavere promesse e mai arrivate dell’Occidente e quelle inattese ma realizzate dell’Africa. In questo tempo, soprattutto, sono avanzati i processi. Dei responsabili della macelleria ligure, dell’azzeramento studiato dei diritti civili, quasi nessuno ha effettivamente pagato. Molti, i vertici, hanno fatto carriera. Soprattutto, delle tante inchieste aperte una, la più grave, non è giunta mai in porto: quella sulla morte di Carlo Giuliani.
Ecco perché la prospettiva di “Carlo Giuliani. Il ribelle di Genova”, con la sua ricostruzione precisa e rapida, con i suoi fotogrammi da flash e l’essenzialità delle parole, può, due lustri dopo quel buco nero per la democrazia italica, aiutare a capire. O, almeno a ricordare. Appena edito da Becco Giallo (il 29 giugno, encomiabile lo sforzo della casa editrice diretta da Guido Ostanel e Federico Zaghis), nato per volere di Francesco Barilli e Manuel De Carli, la graphic novel sul ragazzo romano morto negli scontri anti G8 aggiunge un ulteriore tassello alla verità mai rivelata dell’omicidio Giuliani.
Compaiono i momenti acri delle giornate genovesi, la lotta, giocata metro per metro, fra resistenza e resa; ritorna quella frase atroce: “L’hai ucciso tu! Bastardo, tu l’hai ucciso, col tuo sasso!” che tante notti di sonno ha turbato (durante l’inchiesta è venuto a galla che il vice questore che pronunciò quelle frasi, durante le cariche in Via Caffa, pochi attimi prima che il corteo sbucasse in Piazza Alimonda, tirò un sasso contro i manifestanti). Nel fumo dei lacrimogeni, le lacrime di Carlo sono le lacrime di tutti. L’intifada del bel Paese, durata il tempo della visita di alcuni parlamentari dal passato poco democratico. A raccontarla sono i tratti grafici di De Carli. E le parole di Barilli. Affidate ad Haidi, mamma sofferente, a Giuliano, padre alla ricerca della giustizia, ad Elena, la sorellona adorata del giovane massacrato. Ognuno di loro, porta i segni di quel ragazzo tenace, dalla vita arricciata e senza compromessi. Haidi regge l’estintore che ha messo alla gogna il suo scricciolo, additato alla stregua di un Bin Laden in salsa genovese. Giuliano maneggia lo scotch che Carlo aveva ad un braccio al momento della morte, raccolto in terra come conseguenza del suo innato rigetto per lo spreco. Infine, il passamontagna (anche quello non di Carlo, ma donatogli come protezione contro i fumi dei lacrimogeni) lo indossa Elena.
Tutti insieme, fungono da deterrente contro l’oblio. In “Il ribelle di Genova”, il loro apporto è forte. Svolgono la matassa di un silenzio calato tutto d’improvviso, un nastro fatto vecchio, un disco rigato per il troppo ascolto. Ma è una cappa che la verità sconfigge. Basta una deflagrazione per produrre un’eco che rimbomba. Basta un disegno per riportare alla memoria le immagini del luglio genovese. Il corteo dei migranti, il mare a pochi passi. Carlo ci sarebbe dovuto andare. Lui, poetico e sognante, il mare come amico, non come destinazione fisica. 23 anni ed una gran voglia di vivere. Una zolla di terra con poca acqua, Carlo. Sarebbe bastato poco, una goccia di liquido, per condurla a germogliazione. Lo stivale dei Carabinieri l’ha calpestata, invece, lasciando nelle mani di una famiglia incredula, costretta a difendere la memoria astratta di un figlio morto per strada, senza nessun conforto se non quello dell’estate, solo granelli di polvere. Pulviscolo da rimettere insieme, di modo da compattarlo, trasformandolo in argilla e modellandolo in una nuovo bisogno civile.
Carlo sbuca fuori da questa novel travolgente e delicata in tutta la sua dolcezza. Fa capolino dalla tana delle parole come una lucertola dal buco ombroso nel sole cocente d’estate. Si staglia una tenerezza infinita, gesti da figlio e da innamorato. Messaggi e poesie. Gesti unici eppure umili, quotidiani. Ritanna Armeni, commentando il decennale del G8 ha scritto che l’errore è stato rendere Carlo un eroe, un martire. Vero, sarebbe bastato ricordarlo semplicemente per quel che era: un ragazzo alla ricerca tenace di una strada collettiva. Leggere questo testo non farà che bene alla causa.
Francesco Barilli-Manuel De Carli, “Carlo Giuliani. Il ribelle di Genova”, Becco GIallo 2011
Giudizio: 4 / 5 – Un proiettile
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