Panorama toscano di pianura sconfinata a perdita d’occhio, pomeriggio assolato, caldo e limpido. Un signore legge il giornale seduto su una sedioletta nel centro storico di un paesino come ce ne sono tanti. “Che fa, prende il fresco?”, domanda una signora che passa di là con le buste della spesa. “No, leggo Il Giornale, quello di Feltri”, risponde tronfio il signore, dall’alto della sua gloria familiare, che lo fa uno degli uomini più conosciuti del paese. L’attacco ha bisogno di una spiegazione e allora il signore che legge il giornale di Feltri incalza, mentre il sole picchia forte sulla piazza: “vedi, io sono uno degli ultimi fascisti rimasti. Non post-fascista. Proprio fascista e basta. Anche se non mi interessano i treni che arrivano in orario. Piuttosto, mi interessa che i comunisti tornino nella cacchetta da cui sono venuti”. Pausa, lunga. La signora resta ferma e non risponde per rispetto. Forse vorrebbe, ma non lo fa. Anche le buste della spesa sembrano accusare il colpo di quelle parole e si piegano un pochino spostate dal primo e unico alito di vento del pomeriggio. Il signore tronfio con una camicia bianca allacciata in maniera new age con i bottoni che sembrano ribellarsi alle asole, non sa che davanti a lui, proprio qualche metro più in la, dove il sole lascia spazio all’ombra larga di un palazzone, c’è un ragazzo comunista che ascolta e vorrebbe replicare duramente, ma che non fa una piega. Si tira su il colletto della polo e sa, nel suo cuore in rivolta, più caldo del sole che scalda il paese come solo d’agosto sa fare, che lui nella cacchetta non ci tornerà mai. Non ci tornerà mai perché ha permesso al signore tronfio con la camicia abbottonata in modo futuristico e con il peso della gloria familiare sulle spalle, di dire ciò che pensa, anche se non lo condivide, anche se gli fa ribrezzo. Ecco, la differenza fra le due parti in causa sta tutta lì.