Cristian Sciacca 18 aprile 2013
Basandosi sulla pièce teatrale El chico de la última fila di Juan Mayorga, il 45enne François Ozon torna con Nella casa (Dans la maison) sui luoghi abituali del suo cinema: il mix fra dramma e commedia, la critica della società borghese, l’ambiguità dell’essere umano. Il tutto è funzionale allo sviluppo di una riflessione ancora più impegnativa, quella sull’arte, sul suo ruolo, sulla sua ragion d’essere e soprattutto sull’arte come mezzo. La situazione si delinea chiaramente già nei primi magistrali dieci minuti, in cui ogni personaggio assume la sua posizione (iniziale) sulla scacchiera: Germain è un disilluso insegnante di francese sposato con Jeanne, che gestisce una galleria d’arte contemporanea. Un giorno i due leggono un compito scritto da un allievo di Germain, il sedicenne Claude, che racconta il week-end trascorso nella casa del compagno di classe Raphael con la famiglia di questo. Lo stile elegante e scorrevole del tema, e soprattutto i suoi toni sottilmente ironici, lasciano l’insegnante perplesso e al tempo stesso entusiasta per le doti del ragazzo: dato che il racconto rimanda ad un continuo, Germain inizia a fornire consigli all’alunno su come poter proseguire quello che dovrebbe essere un romanzo ma che in realtà è la descrizione estremamente dettagliata (raccontataci dalla voce sensuale e al tempo stesso distaccata di Claude) della vita nella casa dei “Rapha”. La prima parte del film viaggia sui binari sicuri della realtà come unica dimensione, in cui i racconti di Claude, intervallati dai consigli stilistici e poetici di Germain, mostrano una fotografia prevedibile e confortante della classe media (con le sue manie e i suoi miti): quando invece Claude e Germain, per garantire maggiori spunti narrativi all’autore, iniziano ad agire in modo da provocare le reazioni dei protagonisti del racconto (si fanno “pupari” insomma, pirandellianamente parlando), lo sfondo si doppia e diventa uno spazio in cui finzione e realtà vanno a braccetto.
Ed è quando viene creato questo vero e proprio romanzo interattivo che si apprezza al meglio la sapienza tecnica registica, con la voce narrante che crea e subito smentisce i fatti, provocando straniamento nello spettatore (espediente già utilizzato ne Il ladro di orchidee di Spike Jonze) e con la letterale sovrapposizione fra scene e dialoghi fra personaggi (padre di questa tecnica è il Bergman di Il posto delle fragole). Perfettamente riuscita la caratterizzazione dei personaggi, su tutte quella dei coniugi “Rapha”, costruita su alcuni cliché più americani che europei (lui che gioca a basket col figlio ma assorbito e consumato dal lavoro, lei casalinga annoiata) e che rende più agevole la loro trasformazione in “persone immaginarie”, individui che trovano un motivo d’essere più concreto e vivido paradossalmente nei racconti di Claude piuttosto che nello svolgersi reale degli eventi. Ma sono tutti gli interpreti perfettamente calati nella parte, grazie alla loro fisionomia che aderisce in maniera perfetta alla personalità dei personaggi: Claude bello e inquietante, Rapha junior “simpatico e banale”, Germain severo e “inasprito”, Esther (Emmanuelle Seigner) sensuale e annoiata, Jeanne (Kristin Scott Thomas) dal fascino intellettuale, e così via.
Ozon si diverte poi, tramite i consigli di Germain a Claude, a fare una carrellata degli autori che dovrebbero comporre il manuale del buon romanzo, in cui trovano spazio i vari Flaubert, Tolstoj, Dostoevskij, Pasolini (la situazione ricorda così tanto il suo Teorema che viene esplicitamente citato). Ed è quando i ruoli diventano metaforicamente chiari che entrano in gioco manipolazioni reciproche e giochi di forza: Claude è l’autore, Germain editore, pubblico ma anche autore al tempo stesso. Questo gioco di specchi è funzionale per esprimere uno dei messaggi di più forte impatto della pellicola: a prescindere dallo stile e dalle tematiche adottate, l’Autore, grazie alla sua inventiva e soprattutto al desiderio tendente all’infinito del pubblico di essere sorpreso e riconoscersi nell’altro, riuscirà sempre a comporre nuove storie, «troverà sempre un modo per entrare», come afferma Claude alla fine, dimostrando che l’allievo ha superato il maestro. Nella casa si rivela dunque un’opera ricchissima di riflessioni e spunti narrativi, tutti approfonditi in maniera miracolosamente equilibrata. Una potente dimostrazione di metaletteratura e metacinema, un film assolutamente necessario.