Accostarsi alla scrittura di Raymond Carver è un’esperienza che ribalta la visione del mondo, consentendoti di permeare l’anima dei personaggi che popolano le sue storie come l’acqua s’insinua nelle profondità delle falde acquifere: in modo capillare. Da sempre Cattedrale è considerato il capolavoro dello scrittore americano, una raccolta di storie in cui traspare la visione di un’America – degli Stati Uniti – fatta di pensieri inespressi e rassegnazione, più che di speranza. Carver racconta piccoli avvenimenti che diventano il punto di svolta, il turning point, dell’esperienza dei suoi protagonisti. Ci si trova catapultati nel bel mezzo di una storia già iniziata, sospesi all’interno di un avvenimento eccezionale che si colloca al di fuori del quotidiano. Anche per questo la sua scrittura affascina e ricorda in maniera particolare quella degli sceneggiatori. La semplicità di Carver e la sua immediatezza rievocano, infatti, la visione di un film. Scorrendo le pagine si dipanano davanti agli occhi scene e atmosfere che si rincorrono, fino a giungere al loro compimento, senza tuttavia rivelare la conclusione.
Così Carver ci trasporta in un mondo diverso, in grado di indicare nuovi squarci dell’animo umano, acuendo la nostra sensibilità. La sua abilità è nel cogliere un istante qualunque della vita di un uomo: una gita in campagna, o l’incontro con un vecchio amico di tua moglie. Sono momenti, attimi, istantanee. E’ come descrivere una cattedrale ad un cieco. L’episodio, che dà il titolo alla raccolta, racconta proprio l’impossibilità di tracciare verbalmente a un non vedente la magnificenza e l’imponenza di queste opere del genio umano.
Una cattedrale che diviene metafora di un sentimento o di un’emozione difficile da esprimere a parole eppure lì, presente nella sua bellezza: perfettamente visibile e impossibile da raccontare. Ci vuole una cattedrale per aprire gli occhi sulla propria cecità e iniziare a vedere… insieme. Carver mostra, infatti, come l’unica possibilità di raccontare sia attraverso un sentire comune, magari disegnando insieme una costruzione imponente su una busta della spesa. Ma si può anche cenare accanto a un pavone impertinente, o parlarsi per la prima volta, creando un legame impercettibile e nuovo, in grado di infondere un ultimo soffio di vita a un corpo che sembrava essersi spento nel suo cinismo e nella sua quotidianità.
Nelle atmosfere dipinte dallo scrittore, ogni parola sembra essere in un precario equilibrio così come chi la pronuncia e si respira la lieve brezza del cambiamento, o almeno della sua possibilità. I brevi attimi di vita che racconta sono sprazzi in cui ai personaggi è concessa l’ultima occasione per cambiare e salvarsi: nel paesaggio desolante che gli costruisce intorno, Carver inserisce un via di fuga che tuttavia concede raramente di cogliere.
Portavoce di persone semplici, a tratti banali, lo scrittore fa vibrare la loro esistenza per un attimo in cui intravediamo, con loro, un mondo e un sentire diverso, che assuefatti dalla nostra routine non scorgiamo più. Ma la nostra moderna cecità, incarnata da questi personaggi spenti e aridi, non impedisce l’esistenza di ciò che non vediamo: sta solo aspettando qualcuno con uno sguardo inconsueto che attraverso un tratto di penna lo sveli ancora una volta.