Vi è un che di strano, nel senso di una fissità di alcuni oggetti, sia materiali che immateriali, fissità in un tempo, e condizione eterna, entro la vasta misura della cose che invece mutano. Anna Maria Ortese
per un video di Maria Korporal
Per chiudere il cerchio della creazione, l’artista dovrà trovare il quotidiano, ritrovarsi come fenomeno dell’oscura coralità dei gerghi, più che in se stesso. E dovrà fare questo tentativo mediante l’ascolto. L’ascolto del suo nome come prima cosa, la pronuncia di sé stesso in gergo, nel suo gergo e non nella lingua condivisa. La prima pronuncia che rimane segreta perché così precoce e pregnante da non trovare nel bambino un corpo adatto a sostenerne le immagini, e così creando l’assurdo pericolo che rimanga segreta per sempre anche al latore. Segreta o sottesa in una vita che non ne concepisca neanche l’espressione come possibilità.
Ritrovare la memoria di quel nome è iniziare la grammatica del proprio gergo, è iniziarsi all’auscultazione del gergo del creato, ma di un creato soggettivo che passa per la sua coscienza. Una coscienza che gli nasce dall’incapacità iniziale di appartenere alla collettiva, tanto è intenso il clamore che viene ai suoi sensi come un assalto che all’inizio scoordina e che l’artista dovrà imparare a rendere, mutuando un gergo che sappia del ricordo di tutta l’antichità da cui proviene la sua età nuova. Imparare a gemellare nel tempo presente la strana e remota parola, col gergo che gli impongono le cose. – Le cose tacciono, non ci palesano la loro voce, come ci palesano la loro forma (Rilke) – è in questo silenzio e non altrove che l’artista apprende la sua possibilità di risonanza. É nel suo azzeramento, nel suo parificarsi per inclusione, in tutto quello che lo circonda, che si ricrea nel corpo quella dubbia, quella risibile pontificazione che per assurdo arriva a verità che solo l’arte nei tempi ha dimostrato di sapere approdare.
L’artista è quindi quanto di più lontano esista dall’essere regista del suo mondo sensibile. É vittima, forse consapevole, comunque accettante il fenomeno delle cose sul proprio corpo. Perciò non si può parlare di gestione, il sentire nel suo caso è puro istinto che lega il suo microcosmo a qualcosa di vasto ma incomprensibile, cui può solo relazionarsi empiricamente. L’artista muove nella circolarità della creazione solo per riallacciare legami inconsci con ciò che lo precede e che la sua percezione rende contemporaneo, in una sorta di potenziamento innato che ne fa una strana macchina del tempo, un catalizzatore atemporale che lo rende appunto un soggetto singolare-plurale. In questo senso ogni suo gesto è un atto pluristrutturato che però non si staglia mai al limitare di un ragionamento ma lo anticipa inconsciamente sottoforma di poesia; e ciò lo strazia, più che eleggerlo a una condizione privilegiata di pontefice, cioè massimo dei vedenti e architetto di ponti, quale effettivamente è.
La circolarità della creazione from Maria Korporal on Vimeo.