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Nella patagonia argentina: in viaggio “con la vespa” 9

Da Postpopuli @PostPopuli
 

Eccoci nella Patagonia argentina. Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran. Con la nona puntata, ci spostiamo dall’Africa al Sud America

Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)

(gennaio 1988, parte di un viaggio iniziato il 1° ottobre 1987 e finito il 24 aprile 1988)

Faro Cabo Vírgenes, Rio Gallegos (da interpatagonia.com)

Faro Cabo Vírgenes, Río Gallegos (da interpatagonia.com)

Sono poi andato aTrelew, continuando giù giù sino a Río Gallegos, dove m’imbatto in un gruppo di wanaco, gli animali tipici del posto. Percorro la Patagonia in un paesaggio suppergiù sempre uguale, composto da erba secca e arbusti, guardando un cielo stellato con raffigurazioni diverse da quelle dell’emisfero boreale. Macino tantissima strada senza vedere nemmeno una costruzione; noto che tra un centro urbano e l’altro a volte può capitare di percorre centinaia di chilometri senza incontrare alcunché: qualcosa di assai difficile, se non impossibile, in Europa. È una dimensione completamente irreale per noi europei, non essendo noi abituati a muoverci in distese che sembrano infinite, fatte di nulla.

In queste terre si capisce quanto siano diversi il mondo europeo e quello sudamericano di questa zona, nel loro rapporto con la natura e con lo spazio, e mi sorprendo a contemplare con sommo piacere il muovermi in quest’ampiezza senza vincoli soffocanti. È bello viaggiare in questa maniera, circondati dal vuoto, però mi angoscerebbe viverci… soprattutto per il suo clima, troppo freddo per i miei gusti.

Lasciando le città, ci s’immerge nel brullo paesaggio stepposo, smorzato solamente dall’incrociarsi di camion e di qualche altro veicolo silenzioso, come se strombazzando potessero destare dal torpore questa terra così assopita.

Un’annotazione; sono stato in tanti posti, ma mai ho assaggiato cotolette alla brace migliori di quelle argentine: il famoso “churrasco”. Qui la bistecca è più saporita che altrove: la carne, tagliata in maniera diversa, proviene da mandrie che pascolano libere in ampi spazi e stanno pochissimo tempo nelle stalle, mentre la maggioranza delle vacche europee pascolano poco o nulla e sono alimentate con prodotti che le fanno crescere di peso rapidamente.

Unendomi a due giovani di Buenos Aires, proseguo poi per altri trecentoventi chilometri in direzione nord-ovest fino a El Calafate. A questa latitudine le giornate sono molto più lunghe e, al momento, la temperatura è ferma a tre gradi. D’altro canto, mi trovo in una particolare condizione fisica e psicologica, per via del fatto che fino a non molti giorni fa ero ancora in un caldo clima tropicale; perciò il forte sbalzo termico, così rapido, mi butta a terra. Magari accuso più del necessario il freddo, anche perché non sono provvisto di un’adeguata protezione.

Il ghiacciaio Perito Moreno (da http://venividivici.us)

Il ghiacciaio Perito Moreno (da venividivici.us)

In ogni modo, al campeggio di El Calafate dormo in una grande tenda di proprietà dei due giovani argentini (Leonardo e Gabriele), con i quali sto viaggiando assieme da Trelew. Con questi, l’indomani, venerdì 15 gennaio, faccio l’autostop per i restanti ottantadue chilometri che mi separano dal Glaciar Perito Moreno, l’autentico fiore all’occhiello dell’intera Patagonia. Per arrivarci ci s’imbatte nelle solite difficoltà che hanno accompagnato tutto il viaggio nell’estremo Sud America, allorché si vuole servirsi dei mezzi di trasporto locali, e anche questa volta diventa provvidenziale l’autostop.

Fortunatamente, si ferma un’automobile noleggiata da una simpatica coppia torinese, che carica il sottoscritto e Leonardo (Gabriele poco prima aveva già ottenuto un passaggio). Attraverso con loro una zona ridente, molto bella, attorno al grande lago argentino incorniciato da montagne spruzzate di bianca panna. A una decina di chilometri dalla meta vediamo Gabriele; Leonardo e io scendiamo (loro avevano un appuntamento con altri amici), poi, per istinto, voglio percorrere a piedi l’ultimo tratto e cammino volentieri, anche se ostacolato da un vento gelido e secco. Ai grandi appuntamenti ci tengo ad arrivare con un certo stile e mentalmente preparato.

Mi trovo così nel bel mezzo di uno scenario mozzafiato: di fronte a me, ciclopiche pareti di ghiacciodalle sfumature azzurrine si susseguono su un fronte di cinque chilometri. Mi si dice che si tratta di un colossale ghiacciaio alto più di sessanta metri sopra il livello dell’acqua, che a periodi più o meno regolari si frantuma con un gran boato: il palcoscenico che mi si presenta davanti agli occhi mi ripaga di qualsiasi disagio affrontato. Il Perito Moreno, infatti, è il più conosciuto e imponente ghiacciaio del Parque Nacional Los Glaciares: si espande sulle acque del Brazo Sur del lago Argentino e, sospinto dal ghiaccio più recente, avanza pigramente attraversando il Canal de los Témpanos, fino a toccare la terra ferma della Penisola di Magellano.

Così facendo s’innalza una gigantesca diga di ghiaccio, ostacolando l’afflusso d’acqua verso ilBrazo Rico e, di conseguenza, quando il livello dell’acqua sale, il glaciar s’infrange facendo la voce grossa e offrendo uno spettacolo eccezionale. Tale fenomeno si ripete ogni tre o quattro anni, cosa che dovrebbe verificarsi proprio in questo periodo. Un mese più tardi, infatti, avrei appreso e visto dal telegiornale cileno che quel blocco di ghiaccio si era del tutto frantumato, tuttavia ho potuto assistere alla caduta rumorosa di varie strisce ghiacciate… sempre poche in confronto all’insieme.

Si è detto molto, ed erroneamente, che il Perito Moreno sia l’unico ghiacciaio al mondo che avanza, il che non è esatto, dato che ci sono casi simili in altre zone: Alaska, Groenlandia e Himalaya, per esempio. Però è certo che il Perito Moreno è uno dei pochissimi ghiacciai che provocano cambiamenti tanto notevoli nell’ambiente.

Punta Arenas (da interpatagonia.com)

Punta Arenas (da interpatagonia.com)

Dopo aver visto questo immenso blocco di ghiaccio, che senza dubbio è una delle meraviglie della Terra, verso le sei del pomeriggio torno a El Calafate elettrizzato da quella visione… destinata a perpetuare nel ricordo e, sotto certi aspetti, inesprimibile. M’informo sul come andare a Punta Arenas: ci sono solamente tre pullman alla settimana, che partono alle sei del mattino di lunedì, mercoledì e, ovviamente, venerdì. Per ritornare invece a Río Gallegos, parte ogni giorno un torpedone alle 6,30, però quello del giorno dopo è già al completo. Non mi scoraggio e tento l’autostop. Mi porto alla periferia di El Calafate, puntando nella posizione giusta, rimanendo fermo in mezzo a cipressi e abeti, le uniche piante che rompono la tetra ragnatela della steppa. Al tramonto mi arrendo e ritorno al centro della cittadina per cenare in un ristorante, poi gironzolo un po’ e all’una e mezzo di notte mi sistemo in un’aiuola accanto alla stazione di benzina. Dormo quindi all’addiaccio nel mio sacco a pelo completamente ben vestito (fatta eccezione per le scarpe) e l’indomani verso sera, dopo un’intera giornata passata in vani tentativi d’autostop, riesco infine ad avere un passaggio per quarantacinque chilometri fino a Rio Bote.

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