Gli scienziati ai quali va il riconoscimento sono Michel Mayor, il padre della ricerca dei pianeti extrasolari che quest’anno ha contribuito alla scoperta di Kepler 78b, il gemello surriscaldato della terra, e Viktor Grokhovsky, esperto dello studio di meteoriti che ha ricostruito in dettaglio la traiettoria della meteorite di Chelyabinsk.
di Patrizia CaraveoUn pianeta in un ammasso stellare (rappresentazione artistica). Credit: Michael Bachofner
Lo Top Ten di Nature quest’anno riconosce non tanto, o non solo, risultati eclatanti, ma piuttosto le persone che li hanno resi possibili.
L’astronomia ha conquistato due posti sui dieci disponibili: niente male, direi.
Gli scienziati ai quali va il riconoscimento sono Michel Mayor, il padre della ricerca dei pianeti extrasolari che quest’anno ha contribuito alla scoperta di Kepler 78b, il gemello surriscaldato della terra, e Viktor Grokhovsky, esperto dello studio di meteoriti che ha ricostruito in dettaglio la traiettoria della meteorite di Chelyabinsk. Per entrambi si tratta di un riconoscimento ad una carriera che copre diversi decenni.
Michel Mayor è professore emerito all’Università di Ginevra e, a 71 anni, sta raccogliendo i frutti del lavoro iniziato nei primi anni ’90, sulla ricerca di pianeti intorno ad altre stelle. All’epoca era un argomento quasi impossibile che combinava grandissime difficoltà sperimentali con l’assoluta incertezza sui possibili risultati. Un argomento adatto a sognatori con i piedi saldamente piantati a terra, perché la riuscita della ricerca dipendeva dallo sviluppo di nuova strumentazione. Nel 1995 Michel Mayor e il suo studente Didier Queloz stupirono il mondo, annunciando la scoperta di un pianeta in orbita attorno a 51 Peg. Il gruppo concorrente americano era stato battuto e Geoff Marcy , il suo leader, non ha difficoltà a riconoscere che il successo è tutto merito dello straordinario talento strumentale di Mayor che ogni volta costruisce uno strumento 10 volte migliore del precedente. Ci sono Mayor e i suoi collaboratori dietro lo strumento HARPS (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher) che opera in Cile dal 2003 ed è capace di misurare velocità (radiali) dell’ordine di 1m/sec, la velocità di un pedone che procede spedito. Solo che, in questo caso, a muoversi è una stella che “balla” insieme ai pianeti che le orbitano attorno. Dal 2012 HARPS ha un gemello nell’emisfero Nord montato al fuoco del Telescopio Nazionale Galileo alle Canarie. Usando proprio HARPS Nord il gruppo del quale fa parte Mayor ha misurato la densità di Kepler78b, dimostrando che è un pianeta di tipo terrestre, sicuramente roccioso, anche se inospitale perché surriscaldato dall’estrema vicinanza della sua stella. Mayor è sicuro che la scoperta di una nuova terra “abitabile” sia dietro l’angolo, pensa che avverrà nei prossimi 5 anni e lui, che rimane attivissimo, vuole essere nella squadra che festeggerà il risultato epocale.
Viktor Grokhovsky insegna metallurgia all’Università Federale degli Urali a Yekaterinburg e studia le meteoriti da più di 30 anni. Non ha visto lo spettacolare arrivo dell’oggetto che ha mandato in frantumi tutte le vetrate della città di Chelyabinsk ma ha subito capito che si trattava del più importante evento dell’ultimo secolo. Grazie ai filmati su youtube ha ricostruito la traiettoria e, forte a questa informazione geografica, è riuscito a raccogliere più di 5 kg di piccoli detriti. Ma il meglio è venuto nell’ottobre scorso quando dal fondo melmoso del lago Chebarkul, proprio sulla traiettoria prevista, è stato recuperato un “frammento” di 570 kg. Poca cosa rispetto alle 12.000 tonnellate del meteorite all’ingresso con l’atmosfera, ma pur sempre uno dei più grandi sassi celesti mai raccolti. Record a parte, nessuno diventerà ricco, non è un meteorite d’oro o di platino, di quelli che si vorrebbe, futilmente, andare a catturare nello spazio. E’ una pietra, come la maggior parte dei meteoriti. A posteriori, questa è una fortuna perché, se fosse stato metallico, avrebbe retto meglio l’attrito e l’esplosione sarebbe avvenuta più in basso nell’atmosfera, causando sicuramente danni più importanti perché l’onda d’urto avrebbe potuto abbattere i palazzi, invece che limitarsi a mandare in frantumi le vetrate. Lo studio dettagliato dell’evento di Chelyabinsk ha fatto riconsiderare le stime di pericolosità degli impatti di meteoriti di questo tipo, che cadono sulla Terra, grossomodo, una volta ogni 100 anni, dimostrando che i danni maggiori si devono aspettare dall’onda d’urto dell’esplosione che può interessare una regione molto più vasta del semplice impatto. Anche se lo studio della meteorite di Chelyabinsk ha fatto nascere qualche preoccupazione circa la capacità distruttiva di eventi di questo tipo, Grokhovsky si considera fortunato di avere potuto prendere parte ad una avventura così straordinaria.
Fonte: Media INAF | Scritto da Patrizia Caraveo