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sorprendente pellicola forse meno nota ma molto celebrata dei fratelli Coen, vincitrice della Palma d'oro come miglior film al Festival di Cannes 1991, Barton Fink - È successo a Hollywood è una commedia grottesca e brillante sull'ansia creativa e sulla voracità distruttiva della terra dei sogni in celluloide: un posto che sin dai suoi albori ha comprato, creato e poi distrutto il genio per puro istinto di autodeterminazione (sublime, a tal riguardo, la figura di uno scrittore corroso dall'alcol - interpretato da un calzante John Mahoney - che rimanda dichiaratamente al gigantesco William Faulkner, che nella realtà si trovò costretto per qualche anno della sua fulgida carriera a vendere l'anima a Hollywood).John Turturro, qui in una delle sue più significative interpretazioni, è un commediografo svagato e supponente che vive a New York. Se ne infischia delle critiche benevole autoproclamandosi rappresentante dei ceti sociali più vituperati. Quando, assieme ai primi successi di critica e botteghino, le sirene della Babilonia hollywoodiana giungono alla sua porta con l'offerta di scrivere un film sul wrestling interpretato da Wallace Beery (siamo negli anni Trenta, e tale richiesta venne effettivamente fatta anche a Faulkner), l'imperioso Turturro tentenna. Dapprima è restio, ma poi, soprattutto in virtù della vile pecunia, accetta l'incarico venendo alloggiato in un albergo un tempo rinomato e ormai in evidente declino. Conosce così il vicino di stanza che dice di essere un rappresentante ma che si rivelerà un pazzo furioso e verrà poi in contatto con un grandissimo scrittore ammirato da tutti e finito come lui al soldo dell'industria cinematografica (è il Faulkner di Mahoney che qui si chiama Mayhew ma è in tutto somigliante al vecchio vate del Mississippi). Quest'ultimo però, completamente sfatto dall'etilismo, deve parecchio della sua fama alla pragmaticità della propria assistente la quale passerà una notte con il commediografo protagonista della vicenda. Un misterioso omicidio scuoterà il tedioso tran tran e al termine della stesura della sceneggiatura il lavoro di Barton Fink verrà puntualmente rifiutato. I Coen mescolano con perizia formale e grande abilità compositiva l’horror, il thriller à la Hitchcock, i classici delle letteratura anglosassone, la Bibbia, il fascismo, l’omosessualità, la schiavitù, l’ingresso degli Stati Uniti nel Secondo Conflitto Mondiale e naturalmente una vitrea e velenosa prospettiva su Hollywood. Ben lungi dall'accrocchiare tanta roba in funzione meramente postmodernista, i due bravi fratelli cineasti elaborano una visione in grado di calare lo spettatore al fianco del protagonista nel suo viaggio dalla elitaria e snobissima New York alla Hollywood della mercificazione più indegna delle grandi major, pronte, queste ultime, a rendere Barton uno dei tanti schiavetti alla loro mercé. Il commediografo, aggiogato all’Hotel Earle (un meraviglioso riferimento all’Overlook Hotel di Shining con tanto di tappezzeria “organica” sui colori del verde e dell’ocra, l’assenza/presenza di coinquilini di cui registriamo l’esistenza solo dalla fila ordinata di scarpe da lucidare fuori dalla porta nonché dagli orribili suoni “viscerali” provenienti dalle camere) come in un degenere ventre materno che lo accoglie giorno dopo giorno sempre più degradato, insicuro e sconfitto, troverà piena consapevolezza del proprio disfacimento grazie all'incontro con la follia del suo unico vicino di stanza: un John Goodman stupefacente nei panni di un serial-killer completamente fuso e dispensatore di massime proverbiali. Un cult-movie assolutamente spettacolare.
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