Una rapina in banca, l’uccisione di una delle dipendenti e un uomo in tuta dal volto coperto aprono il romanzo Nemesi di Jo Nesbo. È dalla visione delle videocassette della banca che partono le indagini del detective Harry Hole, insieme alla squadra di Ivarsson e a Beate Lonn, specialista proprio di analisi video. Il ruolo di quest’ultima appare determinante, ma la soluzione è lontana e risulta necessario l’aiuto di un detenuto noto per le sue numerose rapine: lo zingaro Raskol.
Al caso della rapina si aggiungono altre due vicende: Harry Hole, dopo una notte trascorsa con una vecchia fiamma e in preda ai postumi di una sbornia, non ricorda assolutamente nulla e non sa spigarsi come Anne, legata per origine a Raskol, sia stata ritrovata morta con un proiettile in testa. Qualcuno sa di quella sera e a Harry iniziano ad arrivare e-mail a riguardo. E poi, il caso ancora irrisolto che Harry ha più a cuore, quello relativo alla morte della sua ex collega Ellen. (accaduta nel romanzo precedente Il pettirosso)
La Norvegia è fredda, il grigio potrebbe essere il tipico colore di un thriller come le sensazioni gelide dell’animo umano eppure, leggendo Nemesi è un’altra la considerazione nata in me: passione, vigore e …rosso, nero profondo, freddezza assoluta, sensazioni di personaggi totalmente sviscerati, che odiano, amano, si arrabbiano, sono fragili e forti, si danno al lettore in modo assoluto, sono gli elementi che mi piace trovare in un thriller. La suspance non si crea “allungando il brodo”, aggiungendo pagine a pagine, creando storie parallele o forse, anche con questo, ma non basta. Ho letto thriller anche più lunghi e complessi e il bello era quello stridersi dello stomaco, quella fame e sete di lettura che non mi faceva staccare, che diventava necessaria. E quando sono arrivata alla fine sentivo un’esplosione e un’ implosione contemporaneamente.
Nemesi, l’ho letto velocemente, ero curiosa più che altro di vedere quando la storia si sarebbe fatta “tosta”, quando i personaggi si sarebbero svelati a me lettrice senza remore. Ero curiosa anche delle soluzioni, sì, perché il questo romanzo gli argomenti e le situazioni sono varie, più che intrecciate corrono parallele come se stessi leggendo tre racconti. Nesbo dà spazio ad esse, le chiude e le riapre per creare attenzione e coinvolgimento, ci riesce ma non completamente. Mi è mancato il colpo di scena, ciò che non ti aspetti, quella parola o quelle righe che ti fanno sobbalzare dentro. Per non parlare dei dubbi, indizi ignorati che mi veniva da pensare ci fosse un motivo, allora continuavo a leggere ma… no, costatavo che restava un indizio lasciato là. Possibile ad esempio, che il protagonista perda il cellulare e non si curi di ciò? Mi rispondo, che forse fa parte del carattere del personaggio, un uomo come tutti, un poliziotto umano con le sue debolezze (alcool e donne ad esempio) ma poi mi dico che no, non mi basta. Ho amato investigatori ancor più umani, non eroi, ma avevano carattere… forse il carattere del Sud Europa. Questa “forza del personaggio” che ho percepito mancante probabilmente è legata alla nazionalità dell’autore. Eppure, sul retro della copertina c’era scritto “Jo Nesbo riesce a creare storie agghiaccianti e coinvolgenti intorno al suo vero capolavoro: il detective Harry Hole.” La storia ripeto alla fine coinvolge, ma cosa c’è di agghiacciante? Cosa mi fa appassionare di Hole?
È sicuramente un romanzo scritto bene, è fluido, la trama non è male ma non abbastanza accattivante, a volte mi venuta da pensare che fosse troppo “pulito”. L’autore non “si sporca” mai né con i dialoghi né con le scene.
Personalmente amo le scritture un po’ più “dure e graffianti” e senza quella sensazione di “dipendenza” non posso considerare Nemesi tra i romanzi che non smetterei di leggere.
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