Per qualche attimo temetti piacevolmente di aver infranto la catena della successione temporale e di esser balzato avanti verso un passato persino sconosciuto. Avanti, non dietro, come insegnano gli Aka, tribù stanziata a nord-est dell’India. Forse però si trattava più di un passato idealizzato, solo immaginato, piuttosto che qualcosa di veramente vissuto da qualcuno. Ci sarebbe da chiedersi se il passato dei ricordi coincide mai con quello trascorso in un momento reale, con un evento accaduto. O se non si tratti sempre e comunque di ricostruzione mentale, di sogno!
Quando il tizio, un nordafricano presumibilmente, si avvicinò, tentai in principio di ignorarlo… come si fa di solito, sapete!? Poi l’insistenza ebbe ragione sulla mia indisposizione occidentale, il mio sguardo curioso fu attratto quel tanto utile a farmi perdere l’anima.
In effetti la cosa sorprendente era che quell’ambulante non vendeva accendini, fazzoletti di carta, torce tascabili, o inservibili aggeggi per i massaggi alla cervicale. Quello che in apertura del mio resoconto mi ha spinto ad accennar del “tempo”, è stato il misterioso riverbero dei mercanti mediorientali. Il sogno del deserto eterno, delle spezie e degli insondabili percorsi berberi. Tutto ciò in ragione della mercanzia che fissavo senza tregua. Strani oggetti dei quali disconoscevo assolutamente la funzionalità!
D’altro canto lui si era reso conto immediatamente di aver catturato la mia attenzione e così prese a propormi qualcosa, mentre io non lo ascoltavo per nulla, catatonico dinanzi ad una pietra azzurrina, di un turchese intenso a dire il vero, circumnavigato da sottili rotte bianche in mistici ghirigori.
«Quella pietra non ti serve, effendi!», alzò la voce d’un tratto «Per te meglio questo…», mi pose in mano uno specchietto «Con questo specchio vedrai il tuo volto e il tuo pensiero. Vedrai ciò che gli altri non vedono quando ti guardano. È uno specchio per le profondità dell’anima, per il visibile e l’invisibile!».
Allettante, era allettante… ma su quel davanzale di legno appeso ad altezza torace, il mercante proponeva altre seducenti diavolerie:
«Questo è osso di cane della Mauritania, antidoto contro ogni paura del divenire! Questo altro è medaglione del labirinto, con pietra nera piovuto dal cielo. Se riuscirai ad afferrarla, dopo aver percorso i sentieri tortuosi, non più timore avrai degli inghippi del tempo, effendi!».
Mi stancai delle chiacchiere esistenziali e lo interruppi nella sua scarna elencazione di inutili funzionalità. Gli oggetti erano troppo interessanti per essere sviliti da una utilità qualsiasi. Andavano bene così com’erano! Non importa “a cosa”, ma solo “la cosa”. Tornai ad interessarmi della pietra azzurrina.
«Quella non buona per te.», continuò a dirmi il mercante ancora per qualche tempo.
No, volevo quella, e alla fine, dopo le mie insistenze quasi capricciose, me la cedette. Ero consapevole del fatto che quel tizio fosse senz’altro un ciarlatano, sin dal principio, e per questo non volli sapere a che servisse. Del resto neanche lui si espresse in tal senso, dileguandosi prestamente dopo aver ricevuto i miei trenta euro. Fu solo allora che girai la pietra dal lato opposto a quello in vista, constatando la presenza di un vano per delle batterie stilo 9 Volt. D’altronde il mercante me l’aveva detto…
Gaetano Celestre