Questo blog è aperto da un anno. Nel corso di questo tempo si è rivelata sempre più urgente la necessità di chiarire cosa significhi essere femministe oggi. Innanzitutto perché, se c’è una continuità rispetto ai movimenti del passato, nondimeno è importante sottolineare come questa continuità non rappresenti la riproposizione statica di quelle istanze critiche, ma piuttosto come essa sia il frutto di una costante adeguazione del concetto di femminismo alla realtà storica nella quale si trova inscritto.
In secondo luogo, ci siamo rese conto che l’opinione comune che ruota attorno a quelle che ieri e oggi rappresentano le idee portate avanti da questo movimento di liberazione siano il più delle volte delle idee distorte e spesso molto lontane dalla realtà. È per questi motivi che ci siamo proposte di pubblicare, con cadenza settimanale, quattro post ciascuno avente uno specifico argomento inerente a ciò che significa “femminismo”, con lo scopo non solo di chiarire la nostra posizione in merito, ma anche di dare il via ad un dibattito, che sia fruttuoso per il movimento stesso.
Neo-femminismo 4. Perché il femminismo è una questione di priorità
In Italia l’individuazione di questi obiettivi è particolarmente importante. Considerando la condizione femminile, il nostro paese è tra i peggiori in Europa. Visto che questa osservazione può apparire la solita tiritera anti-italiana farò due esempi:
Primo esempio. Poco tempo fa, in occasione dell’8 marzo, l’Istat ha diffuso una indagine in cui venivano analizzate le differenze di genere nel rapporto con la politica. Ne risultava che poco meno della metà delle donne italiane non parla di politica nemmeno una volta nel corso della propria esistenza, mentre il 30% non si informa mai. Maschio, bianco, benestante = informato. Donne, immigrati, analfabeti = non informati. Quando si dice le coincidenze eh. Un ragionamento maschilista vorrebbe concludere che le donne siano meno portate all’impegno politico per una specie di destino naturale (?). Io credo che sia l’equità sociale a creare l’equità in generale. Quindi niente equità sociale, niente impegno politico indipendentemente dal genere sessuale (dall’etnia, dalla classe sociale, etc.) cui si appartiene.
Secondo esempio. Per il reinserimento lavorativo femminile dopo la prima gravidanza l’Italia è ultima in Europa. Cosa vuol dire? Che se una donna italiana resta incinta ha buone probabilità di non lavorare mai più. I figli crescono e le mamme imbiancano (a casa), con una vita professionale nel migliore dei casi frammentata oppure, semplicemente, azzerata. Qualche volta essere femministe incazzate ed essere pii politici a favore della famiglia sono concetti che dovrebbero coincidere.
Vorrei che pro-life volessere dire occuparsi di equità sul lavoro, di reinserimento lavorativo e di sostegni alla natalità (la chiamano womeneconomics). È senz’altro più difficile che recitare la parte degli ideologici proclami sull’aborto, ma potrebbe essere immensamente più utile.
Se questi due esempi danno un’idea almeno vaga della condizione femminile in Italia, allora è chiaro quello che si diceva all’inizio: certe battaglie sono più importanti di altre. Alcune battaglie sono quelle primarie. Altre battaglie invece non vanno alla radice del problema e sono, quindi, secondarie.
Un esempio di battaglia secondaria, secondo me, è quella contro il sessismo nel linguaggio.
Il sessismo nel linguaggio è quella tesi secondo la quale, se sei a favore dell’equità di genere, non devi scrivere “Ciao a tutti”, bensì “Ciao a tutt*”, devi prestare attenzione a dire “sindachessa” e “assessrice”, e secondo la quale è certo un maschilismo implicito nella grammatica italiana che fa dire “fogli e buste bianchi”, perché “fogli e buste bianche” suonerebbe meglio (questo lo diceva Piero Ottone, Venerdì di Repubblica 5 febbraio 2010).
Ora, è senz’altro vero che l’uso del linguaggio influenza il nostro modo di pensare e di agire, e non vorrei essere fraintesa: sono certa che il sessismo nel linguaggio esista eccome, e che crei degli effetti nella realtà (frocio, negro, troia sono parole di guerra). Ma concentrarsi solo sull’eliminazione di queste disparità linguistiche mi fa pensare a chi pulisce tutt’attorno a un tappeto (ma non sotto) e poi si sente contento perché la cucina sembra pulita.
«Buongiorno signorina».
«Mi scusi ma mi dovrebbe chiamare signora. Lei è un sessista linguistico».
«Va bene signora. L’ho convocata per comunicarle che lei è licenziata».
«Ma come sono licenziata? E perché?»
«Signora, perché lei è incinta e non abbiamo intenzione di pagarle un congedo per maternità. Un lavoratore con un pene invece che con un utero è più economico, lo sa?»
«Come mi dispiace!»
«Lo dica alla natura signora, alla natura e all’economia! Ora la saluto e le faccio i miei auguri per la sua carriera di manager».
«Manageressa, prego».
«La prego di scusarmi, signora. Volevo dire, signora manageressa».
«La ringrazio della sua sensibilità. Come mi sbagliavo sul suo conto, lei non è un sessista linguistico!»
«Qualche volta mi chiedo se non sono forse un femminista anch’io… Addio signora manageressa!».
«Addio signor femminista!»
Voi amiche e amici che sostenete questa battaglia dite che il linguaggio «è il principale mezzo di espressione del pregiudizio e della discriminazione». Con tutto il rispetto per il vostro impegno e la vostra passione, credo che le cose non stiano così e che dovremmo cominciare, tutti quanti assieme, a mettere in fila le cose.
I principali mezzi di pregiudizio e discriminazione secondo me sono ben altri: la mancata partecipazione politica, il lavoro femminile non tutelato, l’equità sociale ancora da raggiungere, i sostegni alla gravidanza che non ci sono, la pienezza dei diritti solo sulla carta.
Prima individueremo i nostri obiettivi strategici, prima avremo la possibilità di vincere le nostre battaglie, quelle primarie come quelle secondarie. È urgente condividere, fare rete, unire le forze, avere chiari i nostri obiettivi. Specie oggi, specie in Italia.
Tagged: discriminazione, Donne, genere, gravidanza, neofemminismo, Pari opportunità, reinserimento lavorativo