Proviamo a pensare la città - la bigness di cui parla Rem Koolhaas - come un tendenziale enorme NONLUOGO, ovvero pensiamo a una città che diventa - nel quadro di caratteristiche che sono sempre più caratteristiche della città globale - poco riconoscibile da parte dei suoi abitanti, sempre più priva di storia, di riferimenti, di memorie. Nella bigness prevale l'ordine socio-politico della produzione e del consumo, il piallamento delle diversità-resistenti, dell'alternativa in quanto tale. Trionfano le traiettorie e non i percorsi, si sbriciolano i LUOGHI che tornano ad essere SPAZIO.Penso anche a De Certeau, alla sua idea di camminare, la deambulazione, come forma di resistenza, come forma di opposizione all'ordine costituito e inscritto nell'architettura della città. Penso alla RESISTENZA.Cose'è resistere nella bigness? Cosa significa? Provo, in forma di riflessione e non di enunciazione, a rispondermi.Resistere è tornare a "costruire" luoghi. Luoghi nel senso più profondamente augeiano. Luoghi che significhino, che rimandino, che appartengano, che conservino, che dicano, che ci raccontino di noi stessi. Che possano più facilmente di altri rimandarci il ricordo fantasmatico del nostro corpo e dell' esser-ci-stati.Penso alla resistenza, ai luoghi e a chi, forse, nella città nuova dell'oggi resiste: graffitari che segnano il territorio, creano santuari cromatici nelle nicchie della metropoli. Comunità di persone provenienti da altre nazioni che colonizzano spazi pubblici, parchi, giardini, angoli di piazze eleggendoli a loro punti di riferimento e di ritrovo. Penso ai giocatori di cricket al Parco Trotter, pakistani e singalesi, che nel fine settimana giocano a cricket al parco, e c'è perfino un loro conterraneo, venditore ambulante di certi cartoccetti pieni di cosine fritte (non so cosa siano) che trasporta la sua merce su un carrello della spesa riattato.
Poi mi sono trovato a leggere La città imprevista. Il dissenso nell'uso dello spazio urbano di Paolo Cottino (Eleuthera). Nell'introduzione, ad opera di Antonio Tosi, si fa riferimento a un'analisi delle pratiche degli abitanti delle città secondo una illustre tradizione che affida la capacità critica delle scienze sociali alla contrapposizione tra i sistemi e i modelli di gestione della città consolidati nelle discipline, nelle professioni, nell'amministrazione da un lato, e dall'altra le esperienze, i vissuti, le pratiche che gli abitanti sperimentano nella loro vita quotidiana e che rivelano principi d'ordine diversi da quelli amministrati, espressioni di "razionalità" diverse da quelle che ordinano la pianificazione (Gans, Pétonnet, de Certeau, per citare solo alcuni nomi). In questo caso al centro dell'attenzione sono le pratiche "spontanee", i "fenomeni urbani spontanei, informali e autorganizzati che si sviluppano negli interstizi delle nostre città".
E poi ho ricevuto dall'editore O barra O La città sradicata. Geografie dell'abitare contemporaneo. I migranti mappano Milano. Un libro che prova a scrivere - dopo aver fatto scrivere - una nuova geografia del capoluogo lombardo, visto appunto dai suoi abitanti più "recenti".