
Kishor Neupane è un vecchio amico dai tempi della Tribhuvan University (era il 1983) è finito a lavorare alla National Planning Commission, l’ente governativo che dovrebbe coordinare le attività di sviluppo e i soldi dei donatori internazionali. Come gran parte degli enti pubblici mondiali, la percentuale delle persone con un pò di passione sono poche, lui è una di quelle. La NPC non ha mai brillato per efficienza e non è stata esente da corruzioni varie. I due grandi progetti coordinati dalla NPC, costati milioni di euro, il Local government and Community Programme e il Nepal Peace Trust sono falliti miseramente, con gravi responsabilità anche dei finanziatori (sistema Nazioni Unite in testa). Krishor è depresso: vive in tenda o in macchina con moglie e due figli, scosse e scossette continuano, tuoni, fulmini e vento la notte, lavora all’aperto perché il palazzo Rana all’interno del Singh Durbar (foto) non è agibile, e legge la stampa internazionale.
“Le critiche continue al governo del Nepal sono anche giustificate, non è mai stato un esempio di efficienza e trasparenza, ma risponde al popolo, in ogni caso. Invece a chi rispondono le grandi INGO e le Nazioni Unite. Dove troviamo il loro budget e bilanci?” Sì dice, addirittura, che la scarsa risposta al “flash appeal” delle Nazioni Unite (richiesti usd 423 milioni, arrivati il 20%) sia dovuta a una sorta di resistenza passiva dei donatori istituzionali alla “one Window policy” (aiuti incanalati solo al governo) che impedirebbe la loro gestione diretta (e disastrosa) come è accaduto ad Haiti.
Fino adesso sono arrivati in Nepal secondo il rapporto dell’UNOCHA (qui) usd 282 milioni (compresi aiuti in beni) in gran parte finiti alle Nazioni Unite (fra cui milioni al WFP che è stato capace di acquistare, ancora, riso marcio) e alle grandi INGO. Il Prime Minister Relief Fund ha incassato circa 36 milioni di euro. Nel sito del PMRFnepalese vi è una descrizione dell’utilizzo. “Vedremo, mi dice Kishor’ “se avremo mai modo di vedere quanti di questi soldi sono finiti in consulenze, strutture, administrative cost, etc. e quanto, realmente, in aiuti alle vittime o se sarà come i conti delle NU in Nepal, che sono introvabili.”
Poi pensa a come era tutto più facile quando eravamo poco più che ragazzi, “Il nostro Nepal, quello degli anni ’80 , le vecchie case intorno ad Asan e giù, oltre Basantapur, dove ci faceva o gran passeggiate, ridendo degli ultimi freakettoni, sono ancora in piedi ma gonfiate e storte, bisognerà buttarle giù e, allora, che Kathmandu sarà?”, continua sconfortato. “Servirebbero somme immense da dare ai proprietari, magari con prestiti agevolati, perricostruirle o restaurarle (dove è possibile) come quelle antiche”.
I soldi mancano. Solo per affrontare l’emergenza in Nepal sono arrivati 30 volte meno aiuti rispetto al Giappone (2011) che pur ha avuto danni pari a solo il 6% del PIL. Le grandi corporations aiutarono massicciamente il Cile (2010) per rafforzarsi in quel mercato importante. In Nepal solo poche grandi multinazionali hanno donato fondi per un totale di circa 3 milioni di dollari.
Povero Kishor e insieme a lui l’intero Nepal. I danni e i costi della ricostruzione ammontano a metà del PIL annuo del paese, servono almeno 5 miliardi di dollari per mettere in sicurezza villaggi e abitanti per il prossimo monsone e iniziare a ricostruire. Secondo la Asian Dev.Bank, il PIL del Nepal passerà da una crescita del 4,6 al 3,8. L’agricoltura (34% pil) non crescerà per i danni subiti e per il previsto monsone debole; i servizi (51% pil) subiranno un calo per la prevista diminuzione di turismo e commercio, come il settore industriale (15% pil) poiché nelle aree terremotate è concentrato 1/4 della produzione idroelettrica e il 20% della manifattura. Una diminuzione della ricchezza del paese e delle risorse (in cui si include anche il calo delle già scarse entrate fiscali).
