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Nepal: semi seri

Creato il 25 gennaio 2012 da Cren

Nepal: semi seriL’USAID (l’ente governativo americano per la cooperazione internazionale) e il governo nepalese hanno pensato di incrementare la produzione agricola di mais proponendo un progetto pilota con semi OMG della Monsanto (20.000 contadini di Nawalparasi e Kavre). E’ scoppiato un putiferio che  ha riproposto, almeno nei dibattiti, una questione fondamentale, non solo per il Nepal, quella dell’emergenza almentare. Si noti che la Monsanto già fornisce vende semi trangenici in Nepal dal 2004.

Il dibattito parte da alcune osservazioni ovvie, circondato dai due paesi a più alta crescita demografica e di popolazione del mondo (Cina e India) nei quali l’industrializzazione sta sottraendo terra e manodopera all’agricoltura, il Nepal, in piccolo, sta seguendo la stessa traettoria, al posto dell’industrializzazione c’è la migrazione. Ciò all’interno del  problema globale:  chi produrrà da mangiare per il mondo e quanti saranno esclusi dall’aumento prevedibile (in scarsità d’offerta) dei prodotti alimentari. Già adesso su 7 miliardi d’umani (6 nel 1999), si stima che almeno 2 se la passino male. Un problema che il Nepal si sta ponendo nel suo piccolo.

Trenta milioni d’abitanti (contro i 9,5 mio del 1960), 50% della popolazione impegnata nell’agricoltura, 35% del PIL, crescita calante del 2% annuo, solo il 25% della terra coltivabile, produttività inferiore alla media degli altri paesi asiatici (coltivazioni troppo piccole e senza infrastrutture), produzioni maggiori riso e mais che con l’olio di semi di mostarda coprono il 75% delle calorie consumate dalla popolazione. Il Nepal non è autosufficiente, deve importare riso (circa USD 7 mio annui), vegetali, latte e anche le semenze per continuare il ciclo agricolo.

Questi dati sono confermati dalla realtà. Chi và nei villaggi trova pochi giovani, campi sminuzzati e scavati nelle colline, aratri di legno tirati dai buoi, l’acqua solo durante i monsoni, e, nelle piane del Terai, scene che ricordano la Bibbia. E’ stimato che una famiglia contadina resiste per 7\8 mesi con i raccolti e con una dieta basica fatta da dal bhaat (riso e verdura), dido (polenta) e una gallina alla settimana. Un tempo la gente integrava il reddito facendo il muratore, nelle fabbriche di mattoni o di tappeti, il portatore nei trekking. Oggi migrando e pagando fior di soldi alle agenzie di collocamento, spesso abusive. Del resto scuole, elettricità, banche, sanità sono servizi minimi o inestistenti nel 70% del Nepal e, dunque, uno che prospettive ha. In queste condizioni è difficile fare investimenti nell’agricoltura da parte dei contadini e, a volte, addirittura comprare le semenze.

Dal  1950, l’industria dell’assistenza ha avuto come obiettivo centrale lo sviluppo dell’agricoltura, irrigazione, sostegno produttivo e finanziario ai contadini con scarsissimi risultati, come abbiamo visto. Hanno provato di tutto, sprecando montagne di soldi: produzione pilota di olive, risultato con 8 litri prodotti e tanti esempi del genere . L’unica coltura alternativa è nata dall’iniziativa privata con il caffè. Anche sui semi non si scherza, in parte dovrebbero essere fornite dalla FAO e dal governo ma la distribuzione è spesso fatta in ritardo, con semi scadenti, con criteri clientelari, favorendo la corruzione (parliamo di aiuti internazionali sempre). Addirittura queste pratiche, nel 2010, sono finite sotto inchiesta dall’Asia Human Right Commission con l’accusa di aver provocato carestie in alcune regioni del Nepal.  Tutti rilievi già fatti, fra l’altro da uno studio danese nel 2007 .

Anche la Monsanto (come la FAO) ha una brutta fama, iniziata con il Vietnam e gli erbicidi e finita con l’ormone bovino rBGH, controlla il 30% del mercato agro-chimico mondiale ed è accusata di speculare sulle crisi alimentari per vendere più sementi ibride. Mi dice Rabind, lavora al Ministero dell’Agricoltura (coinvolto nel progetto),  che già almeno il 30% della produzione di mais è con semenza ibrida e che ciò, in assenza di banche dei semi organizzati, rischia di far sparire le specie locali, ridurre la bio-diversità. Aggiunge che è vero che i semi ibridi portano ad un aumento considerevole nel primo raccolto, ma non sono utilizzabili in seguito e obbligano all’acquisto di nuovi, rischiano di contaminare quelli locali (è accaduto nel Terai lo scorso anno con la perdita dei raccolti e la rovina dei contadini che avevano importato “terminator seeds” dall’India), impongono maggior uso di fertilizzanti chimici. Tutti costi che possono diventare insostenibili per i contadini. Ma, conclude, niente può fermare queste importazioni se in India le sementi ibride stanno sempre più diffondendosi, basti pensare che su 22.656 di semi d mais necessari, solo l’1% è fornito da enti registrati.

A Kathmandu, da giorni bloccata per gli scioperi degli studenti contro l’aumento e la penuria di benzina e gasolio, quando fu pubblicizzato il progetto a novembre hanno protestato un centinaio di persone; nel 2009 la crisi dei raccolti nel Terai obbligò migliaia di contadini a salire a Kathmandu a chiedere aiuto, protestando per settimane davanti a Singh Durbar, allora l’USAID e la società civile sono state a casa. Per evitare che i contadini sperino nei facili raccolti ibridi e rovinino se stessi e i terreni, sarebbe utile che il caso Monsanto fosse l’inizio una politica seria e concreta d’aiuto alle  comunità. Comprso il sostegno alle cooperative e User Group locali impegnati nella gestione comune delle acque, dei terreni, della vendita dei prodotti agricoli. E, riguardo alle sementi, l’aiuto a chi già si muove in questa direzione come le Seed Cooperatives comunitarie (Lamjung, Tanahun, etc.) che fanno quello che dovrebbe fare  la classe dirigente (e i donatori internazionali che la mantengono) cioè creare banche delle sementi per assicurarne qualità e quantità ai contadini. Fortunatamente, grazie al clima, il raccolto invernale è stato buono e i prezzi dei prodotti agricoli sono cresciuti marginalmente (considerando l’aumento dei costi di trasporto) ma la media d’aumenti degli ultimi 5 anni supera, comunque, il 18%.


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