Girava tempo fa sul web un divertente filmato che ritraeva una serie di bambini, di età intorno all’anno, alle prese con la scoperta della loro ombra. Una sequenza di piccoli sketch, teneri e buffi come solo i bimbi sanno essere, che oltre a divertire l’adulto osservatore potevano farlo riflettere su come qualcosa di ovvio e quasi banale, scontato per la maggior parte di noi, come la propria ombra possa essere nell’infanzia motivo di scoperta, meraviglia, paura, gioco.
L’ombra, in realtà, a ben pensarci, da sempre è fonte di fascinazione ed ispirazione, nei libri come nei film, nella fiction in generale.
Rappresenta qualcosa che indissolubilmente ci appartiene, ma allo stesso tempo è materia scura. Può rinfrancare come spaventare, può accompagnare ma anche essere percepita pericolosa .
Metaforicamente è una parte di noi a metà tra l’essere dentro e l’essere fuori, è una proiezione non luminosa e quindi si fa simbolo dei nostri lati oscuri, minacciosi, che non ci piacciono.
Un adulto è ovviamente in grado di accettare e inglobare consciamente nella sua personalità gli aspetti meno buoni del suo carattere e le emozioni meno positive. Un bambino, di contro, non è ancora in grado di operare questo processo.
Un bambino si percepisce tutto di un pezzo, i sentimenti negativi vengono sovente proiettati all’esterno, diventano materia sulla quale si costruiscono le paure che per il piccolo sono, al livello conscio, paure dell’esterno, mentre sovente rappresentano, in realtà, i timori profondi dei propri lati meno nobili.
Esempio classico si manifesta quando, in corrispondenza della nascita di un fratellino o di una sorellina, il primogenito, oltre a regredire per attirare le attenzioni su di sé, inizia a manifestare la paura del buio, o la paura dei mostri. Temere il buio, temere i mostri, psicologicamente non sono altro che proiezioni dello sgomento emotivo che nel bambino crea la percezione della gelosia, il desiderio, magari, che il nuovo arrivato si annulli o non esista.
Il bimbo non è in grado di accettare su di sé un tale carico di negatività e quindi ecco arrivare in soccorso la paura, ecco arrivare l’ombra che accolla su di sé il bagaglio oscuro, camminando accanto al bambino, spaventandolo ma, allo stesso tempo, permettendogli il confronto, la metabolizzazione e il non-agito.
Mi sono dilungata eccessivamente, in una materia che non è nemmeno di mia competenza, ma queste sono le riflessioni più profonde che mi ha ispirato il limpido, argutissimo albo appena edito dalla Lapis, “Nero-coniglio”, di Philippa Leathers.
Un libro che, come tutte le opere di genio, soprattutto nel campo della letteratura per l’infanzia, unisce semplicità ed efficacia, chiarezza, godibilità e un ricco, ricchissimo spessore.
Sul valore pedagogico e psicologico di una pubblicazione per bambini mi sono dilungata spesso in passato, ma qui ci tengo a ribadire come queste due doti sussistano e nobilitino il libro qualora riescano a perdere in didascalismo per guadagnare in potere suggestivo.
Un bell’albo per l’infanzia che sappia agire anche sul lato emotivo del bambino dovrebbe unire una bella storia, coinvolgente, brillante, nitida ad una trama, anche complessa, di spunti non dichiarati, pronti ad essere colti o non colti – oppure colti su diversi livelli – a seconda delle esigenze e delle sensibilità.
Ciò che l’adulto vede – e spesso ha fretta di dichiarare – il bambino intuisce. Ma nel frattempo è bene che si diverta e si lasci conquistare dal piacere del racconto.
Il libro di Philippa Leathers è sicuramente un esempio di una comunicazione – iconica, testuale – ben fatta con il mondo dell’infanzia.
Una storia gustosa, originale, con una buona dose di suspense, con un protagonista buffo e in apparenza debole, un cattivo-cattivo, un sapiente miscuglio di elementi che il bambino può prevedere accanto ad altri che posso spiazzarlo e tenerlo sulle spine e il regalo, rassicurante, di un lieto fine pieno e deciso.
Un piccolo coniglio bianco esce dalla sua tana in una splendida giornata di sole. Tutto pare promettere per il meglio ma ecco che, voltandosi, l’animaletto scopre sulla grossa pietra dietro di sé la sagoma nera di un enorme, minaccioso coniglio nero.
Per quanti sforzi faccia – correre, nuotare – la distanza dalla bestia scura non diminuisce mai.
C’è solo un ultimo tentativo da fare: addentrarsi nella foresta fitta, dove non penetra nemmeno un filo di luce e gli alberi sono così vicini che sembra notte.
Ed ecco che finalmente, là dentro nel folto del bosco, il coniglio nero pare essere scomparso. Che sollievo! Ma ahimè dura ben poco: dai cespugli sbucano due occhi lucenti e cattivi.
Ma no! Stavolta trattasi di…un lupo! Pericolosissimo e affamato!
Al coniglietto non resta che darsela a gambe, veloce veloce fuori dalla foresta fitta ma il lupo è rapido e ben presto lo raggiunge. Ma quando oramai sembra essere arrivata la fine e il minuto protagonista è preparato al peggio ecco che la belva famelica si blocca e…scappa via!
Il coniglietto incredulo non può che voltarsi per scoprire cosa abbia spaventato a morte il lupo e…indovinate un po’? Nella luce del sole ecco di nuovo stagliarsi il grande, e stavolta eroico, coniglio nero!
Finalmente i due si avviano, mano bianca nella mano scura, vicini vicini come un piccolo coniglio e…la sua grande e forte ombra.
Va da sé che la ricchezza e la molteplicità di piani di lettura rendono l’albo un lavoro davvero pregevole.
La storia della scoperta della grande ombra scura da parte di un esserino indifeso può parlare tantissimi linguaggi emotivi, che vanno dall’invito a sconfessare le apparenze al rafforzamento della sicurezza in se stessi, dall’accettazione e la valorizzazione della propria complessità – l’ombra come alter-ego cattivo che può essere ricondotto a buono – alla capacità di tirar fuori le risorse per affrontare i pericoli e gli imprevisti della vita.
Oltre a tutto ciò che possiamo leggerci noi adulti, ciò che davvero importa e vale la pena sottolineare è il candore, la limpidezza e l’intelligenza della storia, perché sono queste le prime caratteristiche che arrivano al bambino e ne saldano il rapporto con l’albo. Da qui la possibilità o meno di germogliare, invitare alla riflessione oppure, semplicemente ma fatto non meno importante, divertire.
Riguardo al rapporto tra testo e illustrazioni, ci troviamo di fronte al classico legame di inscindibilità. La parte figurativa è quella che svela: solo osservando le immagini si può comprendere il gioco ironico, il fraintendimento che sta alla base della successione degli eventi e che permette al lettore di seguire la storia allo stesso tempo concitato e divertito.
Non si tratta in realtà del tipico palleggio a contrasto tra un registro testuale che viene smentito da quello iconico – come nell’ironia diffusa in molti picture book – ma bensì di un rapporto complice, quasi ammiccante, come se le parole – serie, essenziali – si lasciassero strizzare l’occhiolino dai disegni che si fanno, di fatto, i narratori della realtà (mentre il testo interpreta la visione del protagonista).
Una costruzione impeccabile, nitida e pulita, priva di sbavature, ridondanze o elementi distrattivi.
(età consigliata: dai 3 anni)
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