“Nero è bello” di Fuad Aziz, Acco Editore

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

Recensione di Vittoria

Una storia di non facile comprensione, nel suo significato più profondo, quella raccontata e illustrata dallo scrittore iracheno Fuad Aziz in “Nero è bello”.
Soprattutto per bambini che ancora devono spegnere le fatidiche tre candeline!
Io ci ho creduto. E ho provato a raccontarla ai miei bambini.

Se devo dirla tutta, è un libro che abbiamo in sezione già da un po’ ma che non ci capita spesso di leggere. Questo per due motivi.

Il primo riguarda il titolo. Sebbene ad un adulto risulti accattivante, per i bambini, nel pieno della loro prima infanzia, non lo è.
Credo che questo diffidenza sia dovuta alla corsa verso la conclusione, al messaggio finale già presente nel titolo. ‘Nero è bello’ può essere l’incipit ma anche il breve commiato dell’autore. È come se tutto fosse già stato detto. Il finale anticipato. La sentenza già definitiva.
Come se l’autore volesse mettere subito le cose in chiaro: “Bambini, nero è bello!” (Una bimba, l’ultima volta, mi si è avvicinata e mi ha detto, molto sicura di sé: “Vitto, non dire che è bello, a me il nero non piace!“).

Il secondo riguarda il messaggio, così profondo quanto indiretto.
L’autore, così come anticipa nella prefazione, ci vuole parlare di “due merli molto particolari”. Merli che si sentono diversi. Non abbastanza colorati da reputarsi al pari degli altri uccelli, variopinti e maestosi con le loro piume dei colori dell’arcobaleno. E così uno dei due chiede all’altro il motivo della loro diversità, e l’altro, senza alcun dubbio, gli risponde che sono speciali.

Qui entra in scena un elemento inaspettato: un foglio contenente una massima, una verità che sancisce che “gli uccelli più belli sono quelli con le zampe arancioni”. I due, spinti dal desiderio di riconoscimento e accettazione, si osservano prontamente le zampe per scoprirle di un acceso arancione.

Da qui all’interpretazione di stampo etnico razziale il salto è breve. E forse anche un po’ banale.
Mi piace di più pensare al racconto come promotore di un messaggio positivo sulla bellezza delle alterità multiformi. La bellezza che scaturisce dal sentirsi a proprio agio nell’unicità dei propri panni, che possono essere fisici, caratteriali, di genere…. La bellezza che, però, per potersi esprimere appieno, presuppone l’accettazione, perché solo sul suo terreno fecondo possono davvero trovare spazio quelle alterità che tutti noi ci portiamo dietro.

Ogni bambino non dovrebbe sentirsi bello, piacersi, star bene, per ciò che appare, per ciò che rappresentano alcuni tratti estetici, fisici (i cosiddetti indizi morfologici) nella società in cui vive. Non dovrebbe, però spesso è così.
E allora il nostro compito educativo risulta ancora più importante soprattutto se teniamo in considerazione che il bisogno di sentirsi accettati è proprio di ogni essere umano, e probabilmente non solo, fin dalla nascita.
Così come ci ha ricordato la psicoterapeuta e psicanalista Alice Miller già qualche decennio fa, il bisogno essenziale del bambino risiederebbe proprio nell’accettazione completa e incondizionata, da parte delle figure di riferimento, di ciò che egli è, di ciò che prova e ciò che manifesta.

Ma alla fine, anche crescendo, chi può dirsi scevro da questo desiderio?

Torniamo al libro! Nonostante la difficile interpretazione del significato del messaggio dell’autore, la scelta della tecnica degli acquarelli ha creato un piano magnetico per lo sguardo attento e la mente vigile dei bambini.

Presentando il libro, e girando ciascuna pagina lentamente, i bimbi sono stati subito sedotti dalle facciate introduttive, decorate con spennellate poco definite e toni pastello.

I loro commenti mi hanno fatto fermare a lungo su queste due primissime pagine, desiderosa di carpire i loro pensieri e di comprendere ciò che suscitava loro questa parte del libro, apparentemente priva di significato: due facciate poste ancor prima dell’inizio della storia, della presentazione dei personaggi. Prive di alcuna parola.

  • Cosa sono quelli? (domanda J. indicando gli alberi)
  • Sono fiori! (risponde una bambina)
  • No, sono nuvole! (risponde un altro bambino)
  • Ah!!! (rispondono due bambini in coro)

Un bambino indica verso il cielo e dice:

  • Guardate! Quello è l’arcobaleno!
  • Vero, Vitto? È un arcobaleno? (mi domanda un bambino, poco convinto)
  • A me sembra un tramonto. (rispondo io)
  • E che cos’è il tramonto?

Dopo averlo spiegato un bambino interviene:

  • È un arcobaleno
  • Sì, sì, è un arcobaleno.

Che questo funga da memento. Ciò che noi vediamo, i bambini sentono. Ciò che noi pensiamo, i bambini vivono. E Fuad Aziz, evidentemente, lo sa bene.

Ecco, infine, l’attività che abbiamo svolto un po’ per caso, un po’ per fusione e incontro di suggestioni.
Subito dopo aver letto il libro ho proposto ai bambini la pittura con la tempera rossa diluita nell’acqua. Ho fornito loro un vasetto con la tempera, due vasetti colmi d’acqua, un vasetto vuoto, un pennello, un cucchiaino e li ho lasciati liberi di esplorare.
Dopo aver osservato con attenzione i giochi di movimento che la tempera fa prima di diluirsi nell’acqua, i bambini hanno iniziato a fare i travasi, a sperimentare le diverse tonalità di colore a seconda della quantità di tempera che mettevano. Successivamente hanno preso in mano il pennello, hanno iniziato a dipingere un grande foglio di carta con grandi tratti lunghi e decisi.

“Ho disegnato la strada”, “Io un carro armato”, “Io l’arcobaleno”, “Anch’io l’arcobaleno”, “Anch’io”, “Anch’io”.

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