No so quante volte è stato detto sul nostro sito (in verità, è dal 2008 che l’economista veneto La Grassa lo scrive in ogni luogo, persino sui muri di Conegliano) che la cosiddetta crisi sistemica globale presenta le caratteristiche di una lunga recessione e non quelle di un tracollo generale, come ripetuto a vanvera da molti esperti (del piffero). Non siamo ancora ad un disastro in stile 1929, nonostante i capoccioni della dismal science si arrischino a dichiararlo spesso, salvo correggersi ad ogni accenno di ripresina che ne smentisca le previsioni catastrofistiche. Costoro danno numeri a capocchia, fanno annunci sballati eppure non temono di essere contraddetti perché non sono le bugie ad avere le gambe corte ma la memoria delle persone.
Piuttosto, la fase in corso sembra avvicinarsi alla Grande Stagnazione che caratterizzò il quarto di secolo dal 1873-96 . Afferma La Grassa in proposito: “In realtà, si trattò della fase in cui si andarono preparando eventi estremamente drammatici quali quelli che si produssero nella prima metà del secolo XX: le grandi crisi economiche (soprattutto, come già detto, quella del ’29) e, in particolare, le due guerre mondiali…A partire dalla seconda metà del XIX secolo, e specialmente dal 1870, si accentuò lo scontro tra i vari paesi capitalistici avanzati per la conquista delle colonie; e per la redistribuzione di quelle già acquisite (ci si ricordi che anche la Francia aveva possessi coloniali di rilievo pur se si era indebolita, come già messo in luce, con la sconfitta nella guerra del 1870-71)…la lunga depressione del 1873-96 è stata il sintomo (e l’effetto) della messa in discussione della primazia inglese, dell’ascesa di alcune nuove potenze ormai concorrenti nell’aspirazione a prevalere”. Mutatis mutandis, possiamo fare dei parallelismi con la situazione odierna, dal momento in cui la superpotenza statunitense (proprio come quella inglese al calar del XIX secolo), fatica a conservare un primato mondiale che però, fondamentalmente, resta tale. Gli Usa mantengono un notevole gap sugli altri paesi e ciononostante si determina una iniziale crisi di sregolazione, del sistema internazionale, che preannuncia ben altri conflitti. Per adesso l’opposizione tra player geopolitici si manifesta maggiormente sul lato finanziario, ma quando gli scarti di potere, tra gli Usa ed il resto del mondo, si saranno accorciati, le tensioni assumeranno la loro precipua veste politica e militare.
Quando saremo più vicini a questo stato di fatto la crisi risulterà irricomponibile, nessuna riforma potrà salvare un sistema superato nelle sue stesse gerarchie e dipendenze, verrà squarciato il velo di sofisticazioni economiche che rivestono la crosta delle relazioni tra le nazioni ed i nudi rapporti di forza usciranno nuovamente allo scoperto. Difatti, l’epoca della grande depressione, volendo restare al paragone storico precedente, cioè quella della fine degli anni ’20 del secolo XX, coincide con il conclamato indebolimento e poi declino di Londra. Questo decadimento però era cominciato da più lontano, dalla stagnazione di fine ‘800, si era poi inasprito con una guerra mondiale, a cui era seguita un’altra depressione profondissima e quest’ultima si era risolta, a sua volta, in una seconda guerra generalizzata che doveva mettere fine alla supremazia dell’impero inglese sul globo, a favore di Usa (nel campo occidentale) e Urss (in quello orientale). Senza essere troppo teleologici, né nella narrazione degli eventi passati (ai quali risaliamo post festum), né di quelli futuri (quindi non escludendo a priori che gli Usa stiano andando incontro a questo destino ma nemmeno dandolo per scontato) parrebbe di essere sulla soglia di un’epoca di ulteriore scoordinamento, i cui risvolti sono intuibili con approssimazione ma non definibili con certezza. La storia non si ripete allo stesso modo per quanto sia ricorsiva. Quindi ne dovrà passare di acqua sotto ai ponti prima di poter dire che Washington perderà la sua centralità a vantaggio della Russia o della Cina e dei loro possibili alleati. Ad ogni modo, per allontanare da noi il rischio dello schiacciamento economicistico riteniamo utile sottolineare che, nonostante la crisi economica prenda sempre il davanti della scena in società di tipo capitalistico, non è questa a determinare la sorte dei mutamenti geopolitici. Essa, piuttosto, costituisce un segnale da interpretare con le opportune categorie teoriche. Oggi, come per il periodo 1873-96, il rafforzamento di potenze che rimettono in discussione il loro rango nel consesso globale innesca la destabilizzazione dello statu quo. Se gli Usa, custodi di questo statu quo, perderanno il primato, i disequilibri aumenteranno in ogni sfera sociale (nella sfera economica sono oramai evidentissimi) e si scaricheranno principalmente a livello delle varie entità statali. La conflittualità tra nazioni e rispettivi gruppi dirigenti negli apparati di Stato sarà il leitmotiv dei prossimi anni, lontana dagli infingimenti multilaterali, fino al cosiddetto policentrismo in cui le dispute, per accaparrarsi la leadership e sottrarla agli attuali “egemoni”, saranno dirette e violente. Forse sarà ancora la guerra totale o qualcosa di assomigliante. Resta, comunque, il dato che la stagnazione e il galleggiamento: “dureranno a lungo spedendo in soffitta le chiacchiere sul suo superamento a breve, sulla possibile cooperazione internazionale; mentre invece andrà accentuandosi il contrasto multipolare. Alla fine, entreremo in un “bel” policentrismo apertamente conflittuale. Non dico nulla sull’eventualità di qualche improvviso botto finanziario con “grande crisi” tipo ‘29. Mi spendo invece per un vigoroso regolamento di conti – in tempi e con modalità non prevedibili; salvo predire una netta diversità rispetto alle guerre mondiali del XX secolo – che forse riporterà verso situazioni di migliore coordinamento; ma attraversando un periodo di gravi eventi traumatici di difficile sopportazione a causa della loro sempre più sconvolgente drammaticità”. (La Grassa)
Ps. Il Ministro dell’economia del governo Renzi, Padoan, ha recentemente dichiarato, in un convegno presso il Centro studi della Confindustria: “Sono tra quelli che ritiene che l’ipotesi di stagnazione secolare non sia così peregrina”. Un po’ esagerato ma anche lui ci è arrivato, anche se sicuramente non sa spiegarsi il perché, da buon inutile economista.