Magazine Cultura
Impiegato modello in un'azienda modello - italiano medio tragicamente modello -, Michele Gervasini fa coincidere la sua idea di felicità con gli angoli acuti del contratto a tempo indeterminato. E poco importa se ogni mattina deve affrontare il traffico isterico della via Pontina per raggiungere il suo ufficio alla Montefoschi, azienda leader nella produzione di latte e derivati. Lì lo aspettano gli altri dipendenti dell'Ufficio pianificazione e controllo, una pattuglia di buffi animali da scrivania che vive - non solo simbolicamente - all'ombra dell'enorme, minacciosa mucca aziendale in vetroresina che campeggia davanti agli stabilimenti. Ma un giovedì mattina la più mite fra le colleghe si dà fuoco nello sgabuzzino delle scope, e all'improvviso bisogna rivedere i confini di quelle giornate che fino ad allora avevano funzionato con l'efficienza di un formicaio.
"Dormi che è meglio pensarci domani..." Nella mia testa sto canticchiando questa canzone dei Subsonica da ieri sera. Da quando ho chiuso il libro, a mezzanotte passata, dopo aver aggiornato via sms il mio ragazzo sulla conta dei suicidi presenti in queste pagine, e aver deciso che era meglio dormirci su prima di anche solo di tentare di fare un po' di chiarezza nella mia mente e nelle emozioni che questo romanzo ha fatto nascere in me. Se avessi scritto subito la recensione, credo che avrei utilizzato solo due parole: FOLLIA PURA. Avrei poi fatto il confronto, inevitabile e secondo me anche cercato dall'autore, con Ammaniti e i suoi romanzi grotteschi, in particolare con "Che la festa cominci" e buttato magari in mezzo qualche ragionamento etico e morale sulla situazione lavorativa attuale, sui suicidi per la crisi, e su quanto questo romanzo risulti quasi inappropriato, insensibile e offensivo se letto in questo contesto. Ma ho lasciato perdere, ho staccato il cervello e ho dormito, perché a libri così è sempre meglio pensarci domani, perché il rischio di scrivere banalità è davvero forte.
Ma oggi è quel domani e la mia mente ancora non ha ben chiaro cosa pensare di questo romanzo di Peppe Fiore. Non riesce a trovare ordine in quel caos di pensieri, non riesce a trovare una logica a quanto ha letto e non riesce a capire se questa logica volutamente non ci sia o se sia lei a essere troppo limitata per comprenderla. Siamo nella periferia di Roma, in una grande azienda casearia che sta per essere quotata in borsa, in cui i dipendenti vengono trattati bene, non hanno problemi di crisi né rischio di perdere il posto, non hanno un'associazione sindacale perché non hanno nulla per cui protestare e ogni mattina vengono accolti da una statua in vetroresina di una mucca gigante che dà loro il buongiorno. Colleghi normali, un po' piacioni a volte, ma con cui si può convivere tranquillamente, senza creare grossi rapporti. E poi, questo mondo perfetto, a poco a poco crolla con una catena di suicidi che, nell'arco di due settimane, mandano tutto allo sbando. L'azienda perfetta non è poi così perfetta allora, se qualcuno si dà fuoco, qualcun altro si taglia le vene, qualcun altro si butta dalla finestra e i colleghi superstiti fanno scommesse su chi sarà il prossimo a cedere. Fino a un epilogo grottesco, assurdo e forse ancor più esagerato di tutto il resto del libro.
Ammaniti, vi dicevo. Un tentativo più blando, più smorzato, quello di Peppe Fiore di ricreare quella stessa follia, quello stesso grottesco che caratterizza tutti i romanzi del suo collega e concittadino. Eppure, ogni volta che chiudo un libro di Ammaniti non mi sento così. Certo, mi chiedo cosa si sia fumato, mi chiedo perché non vada da uno psicologo. Ma nella sua follia, nelle sue storie, ritrovo sempre un senso, una logica. Qui, questo non succede. Non capisco se si vuole fare una critica all'alienante società fatta di impiegati modello che in realtà nascondono un passato più o meno torbido. O una critica alle aziende, che sembrano perfette ma non lo sono. Una critica alla mediocrità e all'accontentarsi. Una critica nei confronti della freddezza delle relazioni umane, al punto che non si sa niente del proprio vicino di scrivania pur trascorrendo con lui la maggior parte della nostra vita. Non capisco, davvero, dove Peppe Fiore voglia arrivare. Né perché, visti i tempi in cui siamo, si debba per forza cercare del marcio anche in quelle aziende, sicuramente non perfette, sicuramente vincolate, come tutti, alle vendite e alle logiche di mercato, che comunque stanno a galla, che non lasciano a casa persone, che pagano gli straordinari o in cui c'è possibilità di fare carriera.
Certo, forse la routine di un impiegato modello non è un granché, soprattutto se, come il protagonista Gervasini a casa ad aspettarci non c'è nulla, se non un sito d'incontri online da cui è impossibile cancellarsi. E capisco che alla lunga questa possa portare alla follia. Ma non così. Non ora. Non in questi termini.
Peppe Fiore volutamente esagera, al punto che sembra quasi non sappia nemmeno lui dove andare a parare. E scrive bene, per carità, riesce a tenerti incollato al libro e ti costringe a non metterlo giù finché non sei arrivato alla fine. Però in questo caso, almeno per me, l'esagerazione non funziona, perché non è giustificata in nessun modo e, soprattutto, non porta a nulla.
E quindi no, preferisco non pensarci più. Né oggi né domani né mai. Perché tanto arriverei sempre alle stesse conclusioni. FOLLIA PURA.
Titolo: Nessuno è indispensabile
Autore: Peppe Fiore
Pagine: 212
Anno di pubblicazione: 2012
Editore: Einaudi
ISBN: 978-8806210915
Prezzo di copertina: 17,00 €
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formato brossura: Nessuno è indispensabile
formato e-book:Nessuno è indispensabile (I coralli)
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